ritorno alla terza via

Good bye, Corbyn! Il nuovo Labour di Starmer torna al blairismo

Luciano Capone

In vista del ritorno al governo, Sir Keir fa un'infornata di seguaci di Blair nel suo team e promette che non metterà la patrimoniale né colpirà i redditi più alti: "La strada della prosperità non passa attraverso le tasse". Così il nuovo New Labour abbandona il massimalismo corbyniano per abbracciare il riformismo centrista

Il lento traghettamento del Labour dalla sponda della sinistra radicale verso quella del riformismo centrista ha subito un’accelerazione negli ultimi giorni. L’ultima mossa è stato il rimpasto del “governo ombra”, con cui sir Keir Starmer ha fatto un’infornata di blairiani, neoblairiani o presunti tali decimando ulteriormente la fazione più socialista, già peraltro mondata da tempo degli elementi più corbyniani. Per la corrente più di sinistra del Labour si tratta quasi di un golpe interno, che sancisce il ritorno ai dannati e “neoliberisti” anni 90 dominati da Tony Blair.

 

Ma qualche giorno prima del cambiamento dei volti, Starmer aveva dato un’altra forte sterzata verso il centro nei contenuti: niente nuove tasse. Il leader del partito laburista aveva mandato in avanscoperta Rachel Reeves, cancelliere dello Scacchiere ombra, con delle interviste a media conservatori e liberali, espressione dell’elettorato moderato e del mondo del business, come il Telegraph e il Financial Times. La ministra dell’Economia in pectore di Starmer ha in sostanza promesso che un eventuale governo laburista non imporrà una patrimoniale, come sosteneva in passato, e non aumenterà neppure le tasse sui redditi più elevati, che era un altro impegno del Labour. Al di là delle promesse specifiche in sé, la svolta è anche nella visione proposta. Reeves ha ad esempio detto che il Regno Unito ha attualmente “la pressione fiscale più alta dalla fine della II Guerra mondiale” e “non credo che la strada verso la prosperità passi attraverso le tasse”. La via per migliorare le condizioni di vita dei cittadini non è tanto la redistribuzione ma “avere più crescita”, dice Reeves. Se i cittadini britannici se la passano male e i servizi pubblici mancano “non è perché le tasse non sono abbastanza alte, ma perché l’economia non è cresciuta”.

 

Il messaggio, chiaro, è che i 13 anni di governi conservatori hanno lasciato un paese ad alta tassazione e bassa crescita, a causa di una gestione dilettantesca dell’economia. Le parole di Reeves sono state subito dopo confermate dallo stesso Starmer in un’intervista al Mirror in cui ha garantito che non aumenterà le imposte sui redditi, rimangiandosi di fatto quella che era il primo dei suoi dieci “pledge” per assumere la guida del Labour: “Aumentare l’imposta sul reddito per il 5% dei contribuenti più ricchi”, che attualmente hanno un’aliquota al 45%.

 

L’ennesima svolta “blairiana” ha fatto infuriare Momentum, la fazione di sinistra radicale molto legata a Jeremy Corbyn, che ha definito “vergognosa” la mossa di Starmer di rinunciare alla patrimoniale e all’aumento delle tasse. Una reazione furiosa certamente ben accolta dagli strateghi di Starmer, perché mostra all’elettore mediano britannico quanto il Labour sia cambiato rispetto all’era massimalista di Corbyn. Un’altra presa di posizione per non allontanare il partito dalle classi popolari ha riguardato l’ambiente, con uno scontro con il sindaco di Londra Sadiq Khan sull’Ulez, una sorta di mega ztl a pagamento per le auto inquinanti, che secondo Starmer ha fatto perdere per un soffio le elezioni suppletive a Uxbridge, l’ex collegio dell’ex premier Boris Johnson.

 

A un anno dalle elezioni e con un vantaggio molto ampio sul premier conservatore Rishi Sunak, dopo la sbandata corbyniana e le conseguenti sconfitte epocali, Starmer si prone alla middle class britannica e alle imprese come un leader affidabile, capace di riportare l’economia su un sentiero di crescita dopo gli azzardi di Boris Johnson e Liz Truss. Insomma, Starmer riprende aggiornata ai tempi attuali la ricetta di Tony Blair, l’ultimo capace di far vincere la sinistra presentando negli anni ‘90 il New Labour come “il partito del centro”. Questa evoluzione sembrava impossibile qualche anno fa, visto che Blair era considerato un paria a sinistra. L’anno scorso, nel suo discorso alla conferenza annuale del partito a Liverpool, Starmer lo sdoganò con una citazione: “Siamo il partito del centro, siamo ancora una volta l’ala politica del popolo britannico”. Il riferimento, molto esplicito, era alla formula usata nel manifesto laburista del 1997, la piattaforma politica con cui Blair vinse le elezioni: “Il New Labour è il braccio politico del popolo britannico”.

 

A luglio, Starmer ha sfatato definitivamente il tabù partecipando a un evento con Blair, organizzato dalla fondazione dell’ex premier, per parlare del futuro del Regno Unito. Ora ha riempito il suo gabinetto di blairiani per prepararsi alla sfida delle elezioni e del governo. Il Pd, che ora è attraversato da forti pulsioni corbyniane, si è presentato alle scorse elezioni dicendo che “il blairismo è archiviato”. Sir Keir Starmer pensa invece che è il caso di rispolverarlo se la sinistra vuole vincere le elezioni.

 

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali