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Il profilo

Arriva il mago dei dati. Andrea Pignataro, il Bloomberg italiano

Stefano Cingolani

Chi è il finanziere, che a capo di Ion ha acquisito Prelios, ex Pirelli Real Estate, per 1,35 miliardi. Le radici a Bologna, il successo nella City, la sua “algo-azienda”, le mosse future

Lo hanno etichettato come il Bloomberg italiano, ma forse bisognerebbe chiamarlo il Mago dei dati, Data Wizard nella sua seconda lingua. Matematico e finanziere, bolognese e londinese, si è protetto con una fitta cortina di privacy, non frequenta salotti, non va alle feste, non risponde agli inviti per gli italiani famosi all’estero, non si fa fotografare anche se ha un volto fotogenico, lavora nella City da oltre vent’anni, lì ha costruito una delle più dinamiche imprese dell’èra digitale con 12 mila dipendenti e un fatturato stimato di oltre tre miliardi di euro. E’ uno degli expat, gli espatriati, italiani di maggior successo sulle sponde del Tamigi, ma la sua residenza è in Svizzera a St. Moritz (come Carlo De Benedetti), le casseforti di famiglia (Bessel e Itt) sono in Lussemburgo (anche le sue), il quartier generale della capogruppo Ion è a Dublino. Fra le cose note della sua vita privata ci sono la passione per la vela, le vacanze nell’isola della Maddalena, l’aereo personale. Più lo sfizio di un investimento immobiliare a Canouan, un’isola dei Caraibi che fa parte dello Stato di Saint Vincent e Grenadine, con la speranza di farla diventare un rifugio per miliardari. Aveva già investito circa 4,6 miliardi di euro nel paese natio dove ha comprato in particolare Cerved e Cedacri, due delle più note aziende specializzate in gestione dei dati e servizi bancari, diventate veri collettori di crediti in sofferenza; adesso impiega un altro miliardo e 350 milioni di euro per Prelios, già Pirelli Real Estate, presieduto da Fabrizio Palenzona. Possiede il 9,8 per cento della Illimity, la banca di Corrado Passera, e il 2 per cento del Montepaschi, è entrato con il 9,9 per cento nel Fondo strategico italiano guidato da Maurizio Tamagnini, nella Cassa di Volterra, nella Macron, azienda bolognese di abbigliamento sportivo (sponsorizza anche la Lazio). Ma guai a sventolare bandierine, niente nostalgia dei campanili di casa. “Noi investiamo in settori e aziende che conosciamo, in paesi aperti agli investimenti esteri”, precisa. A buon intenditore… Del resto, l’Italia gli ha dato le basi, però il suo edificio l’ha costruito nel mondo anglo-americano e nella City.

Andrea Pignataro ha chiamato Ion la compagnia fondata nel 1999, prendendo il suffisso di tre parole che considera pietre miliari: imagination, innovation, creation. E non si tratta di una multinazionale italiana, ma di “un gruppo anglosassone con forte radicamento in Uk e in Usa, i nostri mercati principali”. Tra i suoi clienti ci sono Amazon, Microsoft, Procter & Gamble, numerose banche centrali. Allora perché questa rapida discesa oltre le Alpi? “L’Italia ha ottime scuole e università – spiega nell’intervista rilasciata al Sole 24 Ore nel febbraio scorso – personalmente, a Bologna ho avuto la fortuna di avere professori, dalle scuole medie fino all’università, che mi hanno cambiato la vita. Il paese deve mantenere e innalzare ulteriormente gli standard di istruzione, incentivando il private funding per sostenere la ricerca di base, la ricerca in collaborazione tra università e aziende, e le borse di studio per un numero crescente di studenti. Sicuramente gli investimenti degli ultimi due anni hanno accresciuto la componente europea e italiana come percentuale sul totale, ma si tratta di un ribilanciamento temporaneo perché il gruppo continuerà a crescere a ritmi sostenuti in tutto il mondo”. Nell’insieme ha acquisito una trentina di aziende, collocate in cinque piattaforme ciascuna con propri bilanci e gruppi dirigenti. La scatola finanziaria al vertice del gruppo (Ion investment capital) è stata messa in liquidazione un anno fa con l’uscita di un partner importante come il fondo Carlyle.

Nato a Bologna nel 1970, dopo una laurea in Economia all’università felsinea, Pignataro vola a Londra, prende un dottorato in matematica all’Imperial College e nel frattempo comincia a lavorare come trader alla Salomon Brothers, all’epoca una delle principali banche d’affari di Wall Street (pochi anni dopo sarà incorporata nel Citigroup). Fin dall’università lo considerano un genio dei numeri e ha una memoria di ferro. Durante un esame stupì per preparazione e rapidità di pensiero Francesco Giavazzi che lo interrogava. “Venivo dal mondo della ricerca ed ero esterrefatto da quanto tempo fosse sprecato quotidianamente da persone sofisticate (molti con PhD) nel prendere decisioni in modo algoritmico: non c’erano automazione né software – ha raccontato al Sole –. Questa ‘sorpresa’ mi ha permesso di individuare un’esigenza di mercato allora non soddisfatta. In più ero determinato a non sprecare il mio tempo in attività che avrebbe dovuto fare, invece, un programma informatico. Questi due elementi sono alla base della scelta di fondare Ion, nel 1997, quando ancora lavoravo a Salomon e studiavo per il PhD”.

La sua passione è la matematica, la sua specializzazione professionale è avvenuta in finanza, i soldi li ha fatti in questi anni mettendo in movimento patrimoni e debiti in sofferenza dei quali è piena anche Prelios, ma lui sostiene di aver costruito “un conglomerato industriale con la struttura finanziaria e la sofisticazione dei grandi private equity”. Per certi versi Ion è un fondo d’investimento, per altri un gruppo che opera nella manifattura dei nostri giorni, quella che non manipola metalli, ma dati. “Siamo un ibrido – ammette – abbiamo la disciplina, la velocità e la capacità di execution dei grandi fondi, ma allo stesso tempo abbiamo un orizzonte temporale permanente, da holding industriale. Ion ha sempre una ‘entrance strategy’, ma non ha una ‘exit strategy’, una strategia di vendita, a differenza dei private equity che, invece, la devono necessariamente avere. L’orizzonte temporale ‘forever’, per sempre, è un vantaggio competitivo importante”. La sua filosofia è il “capitale permanente”, non un approccio speculativo. Il suo obiettivo è costruire una “Algo-azienda”, un’impresa basata sugli algoritmi, idea nata nel 1996 quando il mondo digitale muoveva i primi passi.

E Michael Bloomberg? “Facciamo un lavoro simile e a volte in competizione. Bloomberg è principalmente una media company; Ion si occupa di automazione e digitalizzazione dell’industria fintech. Dieci anni fa la Bloomberg era 30 volte più grande di noi, oggi è scesa a tre volte e forse nel 2030 saremo alla pari”. L’esempio del magnate newyorchese lo ha spinto a metter piede anche nell’informazione specializzata: la divisione Acuris ha acquisito agenzie per operatori finanziari come Mergermarket e Debtwire, un primo passo nell’universo dell’informazione. Le notizie alimentano gli affari e viceversa, è proprio questo il modello Bloomberg. “Acuris è parte di Ion Analytics, la piattaforma di investimento che si occupa di dati e intelligence per i mercati finanziari – puntualizza Pignataro –. Nelle emissioni di nuovi titoli, dove la tecnologia è l’interazione umana, crediamo nella convergenza fra giornalismo investigativo e dati. Siamo molto contenti e abbiamo imparato molto in questi anni”. Non lo dice, ma fa capire che non si fermerà qui.

L’ascesa del Data Wizard comincia con una joint venture tra Salomon e List, una società di software di Pisa che aveva costruito il sistema di trading per il mercato dei titoli di stato italiano e greco. In quegli anni l’imprenditore sviluppa programmi per Sia, l’azienda dei servizi tecnologici delle banche, e per Mts, il mercato dove si scambiano i titoli di stato italiani (oggi nell’orbita di Euronext, cui fanno capo le Borse di Parigi, Amsterdam, Bruxelles e Milano). In sostanza fornisce quel che serve per collegarsi alla piattaforma di trading dove si comprano e vendono i Btp. Mts era guidata da Giorgio Basevi, un economista dell’università di Bologna, vecchia conoscenza di Pignataro, suo brillante allievo. La società decide di non possedere un sistema di proprietà, ma di dare a tutti la possibilità di sviluppare un proprio software per partecipare agli scambi e sottoscrivere le obbligazioni emesse dallo stato. Per Pignataro, che nel frattempo si è messo in proprio, è una svolta: si rivela il più rapido a capire l’opportunità, il più bravo a sviluppare i sistemi di connettività che consentono di operare sul mercato sfruttando la potenza e la velocità dei computer. Nel 2001 rileva List insieme a un suo socio in Endeavour Capital, un hedge fund costituito nel 1999, ancora in partnership con Salomon dal cui ombrello esce quando diventa in grado di navigare al timone del suo nuovo incrociatore.

Il gruppo Ion non ha un bilancio consolidato e non è quotato in Borsa. Le continue acquisizioni, le frequenti riorganizzazioni delle attività e la decisione di privilegiare il pagamento dei dividendi sull’abbattimento dell’esposizione, hanno reso inquieti alcuni creditori, secondo il Financial Times, mentre la CMA, l’autorità britannica sulla concorrenza e il mercato, gli ha bloccato tre anni fa l’acquisto dell’americana Broadway perché Pignataro avrebbe avuto un ruolo dominante nella compravendita dei titoli di stato. Di sicuro Ion, nel frattempo, ha continuato a ingrandirsi. Per crescere ha chiesto in prestito finanziamenti superiori al capitale puntando su un elevato profitto, strumento tipico dei fondi d’investimento. La “leva finanziaria” ha gonfiato il fatturato, ma anche i debiti stimati tra sette e otto miliardi di euro. Ciò ha sollevato dubbi sulla solidità del conglomerato. “Abbiamo una leva di cinque volte – replica Pignataro –. Nel mondo del software non è elevata. Con una produzione di cassa annuale di 1,8 miliardi di euro, con un debito segregato e senza condizioni che fanno scattare un rimborso anticipato, e con scadenze a lungo termine, abbiamo la stabilità finanziaria che ci consente di continuare a investire ingenti somme in innovazione e in acquisizioni”. Non solo: “Se siamo convinti di una tesi, paghiamo un premio che un fondo tradizionale, per quanto grande, non si potrà mai permettere, per ovvi limiti di ritorno sull’investimento. Fino al 2020, abbiamo avuto sempre soci di minoranza, per rafforzare la governance, acquisire nuove competenze, avere la disciplina della trasparenza e dell’accountability, la responsabilità dei risultati: inizialmente Kairos, poi il fondo Ta Associates, infine Carlyle. In specifici investimenti, abbiamo anche avuto, sempre come soci di minoranza, Hellman & Friedman, Bc Partners, e ora il fondo italiano Fsi in Cerved e Cedacri”.

Quanto vale oggi Pignataro? C’è chi favoleggia 20 miliardi e oltre; e chi, più prudente, oscilla tra 5 e 10 miliardi di euro. Una cosa è certa: il mago dei dati incarna il prototipo del più classico self-made man (lui preferisce definirsi “schumpeteriano”) che ha costruito la sua fortuna puntando sugli insegnamenti assimilati nelle aule dell’università. “Ero nel posto giusto al momento giusto”, si schermisce l’uomo d’affari che pure non nasconde i propri meriti. L’anima finanziaria esce fuori nelle acquisizioni. “Nel caso di Cerved, abbiamo lanciato un’opa da veri outsider, senza aver contattato preventivamente il consiglio di amministrazione, garantendo un premio di oltre il 43 per cento a tutti gli azionisti di minoranza. Un’offerta di questo tipo ci ha permesso di avere adesioni per l’80 per cento del capitale. Questo perché abbiamo intravisto nella società un valore che gli investitori di breve termine non erano in grado di immaginare”. Ora sposta in parte il baricentro verso Milano dove la ex Pirelli RE opera, in un mercato immobiliare affollato di grandi operatori internazionali, dagli americani agli sceicchi, in un momento in cui i prezzi sono molto alti, forse troppo. Prelios ha anche un braccio finanziario (fondi immobiliari e gestione del risparmio) e gestisce crediti in sofferenza, ha una proiezione in Germania con Prelios Immobilien, una piattaforma di servizi e attività gestite per 2,3 miliardi di euro. Ion ha operato con una società chiamata X3 ed è stato finanziato da un consorzio di banche (Unicredit, Intesa, Bpm, Standard Chartered).

Da quando nel 2010 Marco Tronchetti Provera ha deciso di venderla, la società immobiliare ha attraversato acque turbolente. In serie difficoltà per l’elevato peso dei debiti, viene salvata nel 2012 da un pool bancario-assicurativo: Mediobanca, Generali, Unicredit e Intesa affiancano la Camfin, la holding della famiglia Tronchetti che possiede il 14 per cento della Pirelli. Nel 2017 il fondo Lavaredo che fa capo a Davidson Kempner ne prende il controllo e poi un anno dopo il 100 per cento della proprietà, facendola uscire dalla borsa. Alla fine del 2020 già si parla di vendita, mentre le trattative con Pignataro sono andate avanti per mesi. Prelios ha chiuso il 2022 con un risultato netto di 89,9 milioni di euro, in calo dai 97,1 milioni registrati nel 2021, per colpa del maggior carico fiscale. Il suo business principale è ormai concentrato nel recupero dei crediti problematici con proprietà immobiliari come garanzia, mentre il futuro urbano è legato alla riqualificazione dell’area ex Falck, un milione e mezzo di metri quadrati tra Milano e Sesto San Giovanni. “Un progetto ambizioso, tra i più estesi d’Europa per metratura e tormentati nella realizzazione – ha scritto il Sole 24 Ore – nel record di soci e investitori entrati e usciti dalle porte girevoli, con la scadenza delle linee di finanziamento cui si sono aggiunti lo stop ai lavori causa Covid e i rincari da inflazione per materie prime, energia e manodopera. Un progetto che sulla carta vale circa cinque miliardi di euro”. Vuol dire che Andrea Pignataro dovrà lasciare spesso il quartiere posh londinese di Belgravia o le cime innevate dell’Engadina per trascorrere più tempo nel suo appartamento di San Siro. Si dovrà far vedere e far sentire. In Italia le cose funzionano così e di questi tempi il famoso motto latino va rovesciato: “nemo propheta extra patria”.

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