Funerali di Stato di Silvio Berlusconi nel Duomo di Milano (LaPresse) 

Tasse da rivedere prima di blaterare su quella di successione

Carlo Stagnaro

L’Italia sarà anche un paradiso fiscale per i morti, ma è un inferno fiscale per i vivi. L’altro lato dell’eredità del Cav.

L’Italia è un paradiso fiscale per le imposte di successione? Dopo la divulgazione dei contenuti del testamento di Silvio Berlusconi, sui social network hanno impazzato alcuni grafici il cui senso era: gli eredi del Cav. riceveranno beni del valore di decine o centinaia di milioni di euro e pagheranno un’aliquota inferiore a quella di un lavoratore a basso reddito. Inoltre, gli eredi dei tycoon francesi, tedeschi e americani sono chiamati (in teoria) a versare un obolo molto maggiore. 

 
Sono tutte cose (abbastanza) vere ma, per essere comprese, meritano di essere messe nella giusta prospettiva. Intanto, l’imposta di successione, sì o no? I sostenitori di tale balzello dicono che le eredità equivalgono a redditi non guadagnati e che l’unico loro effetto è di perpetuare le diseguaglianze esistenti. Pertanto, i beneficiari di lasciti o donazioni dovrebbero spartirne una fetta con la collettività. I critici obiettano che imposte di successione elevate disincentivano il risparmio – senza il quale non possono esserci investimenti e dunque crescita – e che in ogni caso i beni accumulati derivano da redditi che sono già stati tassati, e verranno ulteriormente tassati quando saranno consumati. Chi abbia ragione e chi torto è una questione empirica, che si può verificare solo sul campo. Ma, soprattutto, non ha molto senso litigare sul merito di un singolo tributo perdendo di vista il sistema tributario nel suo complesso


Detto in altri termini: chi osserva che le imposte di successione in Italia sono superiori alla media Ocse, e per tanto andrebbero alzate, dimentica che molte altre tasse sono più alte in Italia che altrove, e che in generale il fisco italiano è molto più esoso. La pressione fiscale nel 2021, pari al 43,3 per cento, era di nove punti superiore alla media Ocse (34,1 per cento). Sopra di noi c’erano solo Austria, Danimarca e Francia. Se poi andiamo a osservare la composizione del prelievo tributario, scopriamo che l’Italia si accanisce in particolare sui redditi da lavoro (che oggi versano l’11,4 per cento del Pil, in crescita, contro l’8,3 per cento, in calo, della media Ocse) e sui contributi sociali (13,6 per cento del Pil contro 9,2 per cento). Le imposte sul patrimonio sono anch’esse superiori alla media Ocse (2,4 per cento contro 1,9 per cento del Pil) e così pure quelle che gravano su beni e servizi (11,5 contro 10,6 per cento del Pil). Solo in due casi il gettito delle imposte italiane è inferiore alla media Ocse: reddito d’impresa (2,1 contro 2,8 per cento del Pil) e valore aggiunto (6,0 contro 6,7 per cento del Pil).

  
Alla luce di questi dati, l’intonazione della discussione cambia necessariamente. Si può forse assumere che il mix medio dei paesi Ocse sia per qualche ragione quello ottimale (anche se non è affatto chiaro il senso di tale affermazione). E si può dedurne che l’Italia dovrebbe pertanto modificare la struttura del suo prelievo – obiettivo, peraltro, parzialmente fatto proprio dalla delega fiscale. Ma è piuttosto scorretto concentrarsi sulle sole imposte che generano un gettito inferiore alla media e invocarne l’aumento perché, facendolo, l’Italia complessivamente non sarebbe più vicina alla media Ocse, ma si spingerebbe ancora più lontano, visto che già oggi si colloca su valori estremi. E’ quindi facilmente comprensibile la levata di scudi che ha accolto la campagna per l’imposta di successione, e questo anche al di là dei dati scorretti e fuorvianti che sono stati forniti. Uno su tutti: si è detto che in Italia l’aliquota sulle successioni è appena del 4 per cento, contro una media del 14 per cento dell’Ocse. Ma tale dato, come ha notato Luciano Capone su Twitter, ignora i dodici paesi (su 36) che hanno aliquota zero (cioè non hanno un’imposta di successione, inclusa la socialdemocratica Svezia). E’ come dire: l’Italia ha tasse inferiori a tutti i paesi che hanno tasse superiori.  

 
Oltre tutto, nei paesi che hanno imposte di successione elevate, il gettito effettivo è piuttosto limitato: la Francia, che ha una delle legislazioni più dure, si aggira attorno allo 0,6 per cento del Pil. In Italia l’imposta di successione fu introdotta inizialmente nel 1991, poi drasticamente ridotta dal Governo Amato nel 2000 e abolita da Berlusconi nel 2001, per essere reintrodotta da Romano Prodi nel 2006: il gettito attuale, in valore assoluto, non è molto diverso da quello pre-Amato, attorno al miliardo di euro (oggi un po’ meno dello 0,1 per cento del Pil), come dimostra una nota di Edoardo Frattola e Giampaolo Galli per l’Osservatorio sui conti pubblici della Cattolica. Alla luce di questi dati, persino un uomo certo non sospettabile di simpatie neoliberiste, Vincenzo Visco, appare scettico: “Il gettito dell’imposta è stato ed è piuttosto limitato, e anche la sua efficacia redistributiva è sempre stata molto ridotta, come dimostra il fatto che in Europa i discendenti delle famiglie ricche e altolocate di cinquecento/seicento anni fa figurano ancora oggi nelle statistiche dei benestanti”, ha scritto per il think tank Nens. Senza contare le difficoltà nell’accertamento e i tanti mezzi di cui soprattutto le famiglie più benestanti dispongono per eluderla. 
Ben venga, dunque, un confronto sulla riforma del fisco, ma se vogliamo un dibattito utile al paese, dovremmo concentrarci sul disegno complessivo del fisco, e dibattere tanto del livello complessivo del prelievo, quanto sulla sua composizione e del disegno delle singole imposte. In caso contrario si danno informazioni fuorvianti o manipolate. L’Italia sarà anche un paradiso fiscale per i morti, ma è un inferno fiscale per i vivi.