Francesco Milleri (Ansa)

L'uomo ad hoc

Chi è Francesco Milleri, il manager che Del Vecchio ha voluto a capo del suo impero

Stefano Cingolani

E' entrato in Luxottica da consulente informatico, si è reso indispensabile ed è poi salito al vertice. Dopo la morte del suo mentore Leonardo, è la guida di un colosso da 80 miliardi di euro. Il prossimo re del risiko finanziario 

Se fossero ancora vivi, Adolf Berle e Gardiner Means, gli studiosi americani che teorizzarono nel secolo scorso la separazione tra azionisti e manager, direbbero che la loro profezia s’è avverata anche in un luogo e in un’impresa apparentemente improbabili, cioè in Italia e nella Luxottica. Se fosse ancora tra noi Bruno Visentini, gran borghese, giurista, senatore repubblicano presidente della Olivetti nell’èra della decadenza di Ivrea, tuonerebbe contro “l’azienda di nessuno” per ribadire che solo là dove c’è “la presenza virile” dell’imprenditore gli affari fioriscono e non sfioriscono. Fatto sta che oggi in una delle famiglie più ricche d’Italia e in una delle aziende più conosciute e apprezzate, si sta compiendo l’ultimo confronto tra quelli che posseggono la proprietà e chi la mette a frutto. Loro sono i Del Vecchio, lui è Francesco Milleri il quale, dopo la morte del suo mentore Leonardo, è il capo e la guida di un colosso da 80 miliardi di euro tra il 32,2 per cento di Essilor Luxottica che da solo vale in borsa circa 26 miliardi, il 19,4 per cento della Mediobanca, il 10 per cento almeno delle Assicurazioni Generali, yacht, ville, immobili della società Convivio (un vasto patrimonio tra Milano, Roma e Montecarlo dove Del Vecchio amava risiedere quando non viaggiava tra lo storico quartier generale di Agordo e mezzo mondo). Il manager gioca tre partite diverse, ma strettamente intrecciate. La prima in Francia con Essilor la società produttrice di lenti maritata con Luxottica che produce e commercializza montature con i marchi più diversi e rinomati (si pensi al mitico Ray Ban che ha protetto gli occhi del secolo americano). La seconda è puramente finanziaria, un risiko tutto italiano che coinvolge Mediobanca e Assicurazioni Generali, dove Delfin può salire ormai fino al 20 per cento. Infine il terzo power game, quello con la famiglia.

Gli otto eredi hanno avuto il 12,5 per cento ciascuno della Delfin, la cassaforte lussemburghese: sono i sei figli (Claudio, Marisa e Paola avuti dalla prima consorte, Luca e Clemente avuti da Sabina Grossi che non ha mai sposato, Leonardo Maria nato da Nicoletta Zampillo), più l’ultima moglie e il figlio che lei ha da un altro marito. Tutti insieme si dividono il ricco portafoglio con una quota del 25 per cento riservata alla Zampillo. Le decisioni vanno prese con l’88 per cento quasi all’unanimità, ma Luca, Clemente, Paolo e il primogenito Claudio hanno accolto il testamento con beneficio d’inventario. Troppe sarebbero le tasse di successione da pagare, troppi gli immobili finiti alla signora Zampillo e troppe le azioni lasciate a Milleri (per un valore di 270 milioni di euro) nella società della quale è anche presidente e amministratore delegato, cioè Essilor Luxottica. In più, lo stesso manager ha in mano le chiavi della cassaforte Delfin. “Non lascerei mai a un figlio un’azienda così grande”, aveva detto Leonardo. Alcuni dei suoi rampolli tuttavia si chiedono perché lasciarlo fuori dalla famiglia? Milleri in questo anno ha distribuito loro ben 77 milioni a testa, non bastano?

 

Per affrontare gli affari di casa Del Vecchio dobbiamo raccontare come di punto in bianco questo consulente informatico è entrato in Luxottica, si è reso indispensabile ed è salito al vertice. E’ stato proprio lo stesso patron il 15 dicembre 2017 ad appoggiare la spada sulla spalla del suo cavaliere: “Considerata la mia età, ho espressamente voluto che nel contratto sottoscritto con Essilor, sia Francesco Milleri a sostituirmi nel caso io venissi a mancare” ha dichiarato in un’intervista al Corriere della Sera. Ma “la grande ascesa da fornitore a capo azienda”, come l’ha definita il Sole 24 Ore, comincia con “un rapporto di buon vicinato”. E qui dobbiamo attingere a una fonte diretta: Nicoletta Zampillo, figlia di uno dei primi rappresentanti milanesi della ditta, seconda moglie di Del Vecchio divorziata e poi risposata. E’ stata proprio lei a introdurre Milleri al marito. Ma sentiamo la versione della vedova: “Era l’inizio del 1991, sei mesi dopo la separazione dal mio precedente marito – dichiara nel 2014 alla Repubblica – in quella casa dove abitavo è arrivato il dottor Milleri con la moglie e un figlio che aveva la stessa età del mio. Sono diventata amica della moglie e quando mi sono fidanzata con Leonardo ci siamo frequentati con i Milleri per diversi anni. Poi ci siamo separate entrambe e dal 2000 al 2009 non ho più visto Francesco Milleri che invece ha continuato a frequentare mio marito e la sua compagna di allora (Sabina Grossi madre di Luca e Clemente, che l’imprenditore non ha mai sposato, ndr.). Milleri conosce bene anche i figli del primo matrimonio di Leonardo, cioè Claudio, Paola e Marisa. Siamo amici, ma non l’ho suggerito a mio marito, lui decide da solo, è perfettamente lucido e a me non mi ascolta più di tanto”. 
 
Milleri conquista la massima fiducia, s’impadronisce di ogni dettaglio, conosce ogni angolo, ascolta, osserva, pensa, riporta e propone. Diventa il referente su cosa succede in assenza di Del Vecchio, lo presenta all’esterno come il suo segretario. Un uomo d’azienda, ma molto più, un uomo di famiglia, quasi l’erede come Leonardo aveva sempre desiderato. Con il primogenito Claudio è entrato in rotta di collisione negli anni ‘90 e i dissapori hanno portato a una separazione di fatto: il figlio è rimasto a New York, ha acquistato la storica Brooks Brothers, l’ha rilanciata, prima di alzare bandiera bianca con l’arrivo della pandemia. Gli altri erano comunque in erba. In Milleri rivede la propria voglia di emergere lui cresciuto in orfanatrofio e la dedizione che rende meno effimera l’ambizione. Nato nel 1959 a Città di Castello in Umbria, laureato in giurisprudenza a Firenze, master alla Bocconi, un passaggio alla New York University, fa il consulente aziendale nella farmaceutica e nel 1996 fonda la Milleri & associati, trasformata in Mea srl, della quale è tutt’ora proprietario. Sviluppa soluzioni e pacchetti applicativi, insomma vende software. E Luxottica aveva bisogno proprio di questo. Il gruppo degli occhiali guidato da Andrea Guerra nel 2007 decide di investire nella migrazione al sistema gestionale Sap. Si racconta che sia stato proprio Leonardo Del Vecchio a presentare Milleri ai vertici dell’azienda suggerendo di affidargli un mandato, è un contratto marginale, ma in ogni caso son due milioni di euro. E’ l’occasione per capire come funziona il gruppo e soprattutto cosa non funziona. Applicare il software significa avere in mano la mappa del sistema e osservare tutti i dati, dai fornitori ai clienti finali. Luxottica diventa la sua casa e lì incontra anche la nuova compagna Alessandra Senici che dirige le relazioni con gli investitori. Nel 2014 Guerra e Del Vecchio sono ai ferri corti, c’è divergenza su tutto e soprattutto su chi deve avere l’ultima parola. Lo scontro al vertice si conclude con l’uscita dell’amministratore delegato e il decollo di Milleri. E’ ormai il consigliere fidato, anzi di più, l’amico che la mattina lo va a prendere a casa quando il fondatore lascia le magioni di Milano o Montecarlo per curare la sua creatura ad Agordo nella Valle Imperina circondata di monti, non solo da remoto sul cellulare grazie a un sistema introdotto dallo stesso manager.

 

Il ruolo centrale di Milleri, anche se a lungo informale, crea tensioni in azienda. Dopo l’addio di Guerra, al timone viene messo Enrico Cavatorta, ma dura appena un mese durante il quale non tocca palla perché quel che conta è in mano all’ad ombra. Del Vecchio tuttavia ritiene che non sia ancora pronto e lo lascia in stand by fino al 2016, dopo un tourbillon di dirigenti al vertice. In un anno circa Milleri diventa prima vice presidente, poi amministratore delegato. Ha scritto Il Sole 24 Ore: “Man mano che cresceva il suo ruolo anche le sue società personali diventavano sempre più centrali nella gestione dei servizi It di Luxottica”. L’ingresso nel consiglio di amministrazione e i successivi ruoli ricoperti hanno reso obbligatoria la comunicazione del valore dei contratti in quanto parte correlata. Gli ultimi documenti depositati alla Sec, l’agenzia americana di controllo sulla borsa (Luxottica era quotata a Wall Street fino al 2017), danno uno spaccato a partire dal 2013. Il corrispettivo pagato alla Milleri e associati è passato da 4,4 milioni a 11,9 milioni tre anni dopo con una punta di 16,5 milioni. Considerando anche l’ultimo contratto si tratta di 97,7 milioni di euro. La Mea alla fine del 2016 aveva un attivo netto di 30 milioni, un fatturato di 20,2 milioni e un utile di 2,4 milioni. Tre anni prima la società era in perdita. La differenza si spiega anche con la girandola di fusioni con l’incorporazione di diverse società che facevano capo al manager, come IDoq, Hurema, Kevo, Exstone solo per citarne alcune. Completano la rete la Acqua mundi e la Società di centri diagnostici. La prima è stata costituita a inizio 2016 e ricapitalizzata per 12 milioni di euro a settembre 2016. La nuda proprietà è intestata al figlio Matteo e l’usufrutto a  Milleri. Ad essa fanno capo le Terme di Fontecchio a Città di Castello. Infine, la Società di gestione dei centri diagnostici, costituita nel 2005. Il Sole 24 Ore ha fatto dunque i conti in tasca a Milleri il quale nel gennaio 2017 ha rassegnato le dimissioni dal board della Mea srl, per dedicarsi corpo e anima alla Luxottica e al nuovo grande progetto: la trasformazione in vera multinazionale grazie al matrimonio con Essilor. Intanto la posizione apicale anche nella Delfin lo proietta nel gran gioco della finanza. 

Scrivono le cronache che Milleri è l’artefice della fusione tra Essilor e Luxottica mancata dai suoi predecessori. Gli inizi non sono stati facili con i francesi al comando. Pochi mesi dopo, Del Vecchio accusa di non rispettare gli accordi il vicepresidente Hubert Sagnières il quale al contrario ritiene che sia il patron italiano a volerlo estromettere. Un anno dopo entrambi fanno un passo indietro e all’assemblea i poteri passano a Milleri, al francese Paul de Saillant solo un posto di vice. Il cda è diviso in due: sette consiglieri a Luxottica e altrettanti a Essilor. Finché dura, ma Milleri è convinto che durerà. Gli affari vanno bene, è stato recuperato lo scivolone dovuto alla pandemia. In cinque anni i dividendi sono saliti del 55 per cento, la capitalizzazione  di borsa è arrivata a 80 miliardi (+74 per cento) i dipendenti sono arrivati a 190 mila (+36 per cento), i ricavi sono aumentati del 50 per cento. “Ora inizia un nuovo viaggio”, ha detto Milleri all’ultima assemblea, ancor più difficile e costoso. Il mercato cresce in modo tumultuoso. Nei paesi sviluppati il 70 per cento degli adulti deve usare lenti correttive per vedere bene. In estremo oriente, dove la miopia è sempre stata più diffusa. Negli anni cinquanta i cinesi miopi costituivano il 10-20 per cento della popolazione. Oggi tra gli adolescenti e i giovani si sfiora il 90 per cento. A Seoul il 95 per cento dei ragazzi di 19 anni non vede da lontano, nel mondo ci sono 2,5 miliardi di persone – soprattutto in India, Africa e Cina – che avrebbero bisogno di occhiali, ma non hanno i mezzi per sottoporsi a un esame della vista e per comprarli. Intanto un difetto fisico è stato trasformato in un tocco di stile.

 

Lo stesso Del Vecchio ha riconosciuto che il grande salto per lui è avvenuto grazie all’accordo del 1988 con Giorgio Armani. Un rapporto difficile con tanto di rottura durata dieci anni e riconciliazione dal 2013. L’industria mondiale degli occhiali vale oltre 120 miliardi di euro ed è dominata da Essilor Luxottica inseguita dalla Zeiss. I margini di guadagno sono davvero enormi. Il costo di produzione s’aggira a poche decine di euro (perfino per le lenti e le montature migliori), ma la gente è pronta a spendere dieci, venti volte di più. Un potenziale immenso, dunque, ma anche fluido nel quale s’innesta ormai l’alta tecnologia. E’ in corso la guerra per gli occhiali digitali e Zeiss ha lanciato sue lenti che sfidano le progressive di Essilor. I Google glass sviluppati insieme a Luxottica nel 2015 non hanno funzionato. Ora tornano mentre Meta ha scelto Luxottica per i Ray-Ban stores che catturano immagini. In campo ci sono anche Huawei e molti altri. Il primato insomma non è affatto garantito. Bisogna concentrarsi su un core business in rapida evoluzione e lasciar perdere le fluide sorti dell’alta finanza? E’ questo dilemma a fomentare le divisioni. Comprare un altro 10 per cento di Generali costa molto, circa tre miliardi di euro, la famiglia non ama avventure e invita a tenere i piedi per terra, o meglio le mani sulle stanghette. 

Entriamo così nell’ultimo grande risiko nella “galassia del nord”. Molto è stato scritto, ma finora sono solo scenari come il ribaltone al vertice della Mediobanca con il sostegno parallelo di Francesco Caltagirone per rimettere poi in discussione il vertice delle Generali e trasformare in vittoria la sconfitta dello scorso anno. La Delfin è azionista anche dello Ieo, l’istituto dei tumori fondato da Umberto Veronesi insieme a Enrico Cuccia ed è qui che si consuma un conflitto con Mediobanca o meglio con l’amministratore delegato Alberto Nagel che rifiuta l’aumento di capitale proposto da Del Vecchio perché avrebbe significato un vero e proprio takeover. Le tensioni si sono attenuate, Milleri ha apprezzato i dividendi della banca e il lavoro di Nagel, ma la ruggine non scompare rapidamente. Il manager può contare sull’avvocato Sergio Erede o su uomini di grande esperienza come Vittorio Grilli che rappresenta ancora la JP Morgan anche se sta per andare in pensione. Il nuovo re degli occhiali sarà in grado di spezzare il cordone ombelicale tra la compagnia e la banca che trae dai ruggiti del Leone buona parte della sua fortuna: i dividendi delle Generali ammontano a quasi la metà del miliardo di utili di Mediobanca? Oppure potrebbe diventare il portatore di un nuovo equilibrio con maggior spazio per gli azionisti di riferimento (come la stessa Delfin, Caltagirone, Benetton) rispetto agli “anonimi fondi”, ma senza rimettere in discussione quel balance of power che è una virtù liberale in economia come in politica. Per capirlo ci sono pochi mesi, da oggi al 28 ottobre quando i soci di Mediobanca si riuniranno in assemblea.