La famiglia Agnelli allo stadio per Juve-Cagliari, nel 2000 (Ansa)

Eredi coltelli

Da Murdoch a Del Vecchio, fino agli Agnelli. Indagine sui destini del capitalismo di famiglia

Stefano Cingolani

Tutte le famiglie diventano ricche allo stesso modo (più o meno) ma ogni famiglia ricca trasmette i propri beni in modi diversi, spesso drammaticamente diversi

Le raccomandava la sua roba, di proteggerla, di difenderla: “Piuttosto fatti tagliare la mano, vedi!… quando tuo marito torna a proporti di firmare delle carte!… Lui non sa cosa vuol dire!”. 
Giovanni Verga, “Mastro don Gesualdo”


Tutte le famiglie diventano ricche allo stesso modo (più o meno); ogni famiglia ricca trasmette i propri beni in modi diversi, spesso drammaticamente diversi. “Le battaglie fratricide, che hanno radici biologiche, sono guerre civili: di tortura, senza prigionieri, durissime”, ha scritto lo psicoterapeuta Gustavo Charmet. Sembrano storie d’altri tempi, alla Balzac, alla De Roberto, alla Verga, ma sono diabolicamente attuali anche perché siamo diventati un popolo di eredi. Gli italiani ogni anno ricevono oltre 200 miliardi di euro in lasciti e testamenti. E sono sempre di più, la popolazione invecchia, i giovani si arricchiscono: nel 1995 il valore di eredità e donazioni rappresentava l’8,4 per cento del reddito nazionale, oggi si arriva al 15,1 per cento; allora il valore distribuito ogni anno corrispondeva a una quota del 9,6 per cento, oggi siamo al 18,5 (le cifre vengono dall’agenzia delle entrate e dalla Sogei, elaborate da Salvatore Morelli e Paolo Acciari per il National Bureau of Economic Research). Sapere che fine farà “la roba”, dunque, è fondamentale. E non solo in Italia, ma nel Giappone patria delle “pantere grigie”, nella senescente Germania, nella Francia dei rentiers. Gli americani sono convinti (da Andrew Carnegie a Bill Gates) che i dollari dei padri facciano male ai figli, eppure enormi colossi economici sono ancora affari di famiglia (Walton, Mars, Koch, Estée Lauder, Newhouse, per citarne alcuni). Sotto i riflettori ora è l’impero di Rupert Murdoch, sul quale non tramontava mai il sole. 

 

Carta stampata, televisioni via cavo e via satellite, cinema, internet, nulla gli sfuggiva, dalla nativa Australia all’adottiva America o all’Inghilterra dove aveva sfidato la detestata élite alla quale aveva sfilato il fiore dall’occhiello, il London Times, e lo aveva schierato a fianco prima della figlia del droghiere, Margaret Thatcher, poi di un cattolico scozzese e laburista come Tony Blair. E ancora l’Italia, l’Europa continentale, fino in Cina dove aveva stretto persino legami matrimoniali (la terza moglie Wendi Deng). Insomma era lui l’imperatore dei media, il vero erede di Citizen Kane; lo è stato per tre decenni, prima di fare un passo indietro vendendo la Century Fox alla Disney. Abbiamo usato il passato, tuttavia Rupert resta ancor oggi protagonista del quarto potere. La saga familiare ora ha ispirato la serie tv “Succession” trasmessa in Italia da Sky Atlantic, ma non è molto conosciuta. Erano rimaste a lungo nell’ombra le tre sorelle che hanno consentito la sua ascesa e poi hanno tentato di farlo cadere dal trono trionfale. Janet sposata Calvert-Jones, Anne (Kantor) e Helen (Handbury), dopo la morte del padre Keith – battagliero giornalista in Oceania e nel mondo anglofono il quale aveva raggiunto la fama raccontando senza veli il disastro di Gallipoli nel 1916 e mettendo sotto accusa gli errori degli alti comandi – avevano accettato di buon grado che l’erede maschio, seppur secondogenito, prendesse il comando. In quel 1952, il News era un piccolo giornale di Adelaide, nel 1969 Rupert sbarca a Londra conquistando i tabloid News of the World e il Sun, per poi comprare il Times ormai al fallimento nel 1981. 

 

Non più vascello pirata, ma incrociatore lanciamissili, sulla News Corporation pendeva l’incognita della famiglia. “E’ stata la più grande minaccia per il controllo del gruppo”, sostiene Neil Chenoweth, biografo di Murdoch intervistato dal Financial Times. Almeno fino agli anni 90. Una fase difficile, l’espansione si reggeva su una montagna di debiti, mentre sia in Inghilterra sia negli Stati Uniti crescevano le proteste contro i metodi spicci e i contenuto abrasivi dei giornali e delle tv di Murdoch. Assediato dai concorrenti, dagli avversari politici e dai creditori, Rupert fu messo sotto accusa anche dalle sorelle che tentarono di scalzarlo. Un complotto di famiglia. Ma i nemici esterni e interni lo avevano sottovalutato perché Rupert con un colpo di reni si liberò dalla morsa, trovando un accordo (ben remunerato) con i parenti serpenti. Anne Kantor pendeva a sinistra e impiegò la liquidazione in battaglie contro gli armamenti nucleari. Spese ben dieci milioni di dollari per sostenere il movimento che nel 2017 vinse il Nobel per la pace (Ican, International campaign to abolish nuclear weapons), lo si è saputo solo dopo la sua morte avvenuta nel settembre scorso a 86 anni. Le altre con i loro mariti si dedicarono ad attività diverse, pur continuando a vivere con i guadagni di News Corporation. Le tensioni familiari, però, anziché cessare sono passate dalle sorelle ai figli. E ora che Rupert è arrivato ai 91 anni, si riapre l’incognita sulla successione, come scrive il Financial Times. 

L’erede designato è il figlio Lachlan che pure aveva dato parecchi grattacapi, ma sarà davvero lui il solo a gestire il colosso che è in procinto di trasformarsi di nuovo, con la fusione di Fox e News Corporation divise vent’anni fa (sono in ballo 27 miliardi di dollari)? A insidiarlo è il fratello James che cerca e in parte trova sponda nelle due sorelle Prudence chiamata Prue ed Elisabeth (Liz). Rupert ha sei figli. Prudence è nata nel 1958 dalla prima moglie Patricia Booker. Tre sono i frutti del matrimonio con la seconda moglie Anna Torv, si tratta di Elisabeth, Lachlan e James. Due figlie, Grace e Chloe, nate da Wendi Deng, non entrano nella linea di successione. Le nozze con l’ex modella Jerry Hall, inutilmente corteggiata da Rupert quando era giovane e conquistata una volta arrivato alla terza età, non hanno dato prole. In un modo o nell’altro i quattro discendenti adulti sono stati coinvolti nell’impero mediatico, non senza tira e molla tra tensioni e conflitti che gettano ombre sul futuro.  

La ricchezza di famiglia è racchiusa in una cassaforte oggi chiamata Cruden Financial Services. E’ stata Anna Torv nel 1999, al momento del divorzio, a chiedere che i suoi tre figli più Prudence venissero tutelati da nuovi eredi e dalle pretese di Wendy Deng. Rupert detiene fino alla sua morte quattro voti su otto. Ma siccome tutte le scelte strategiche del gruppo vengono prese o approvate dentro Cruden, i figli hanno il potere di veto. Solo che i discendenti sono a loro volta in contrasto. La frattura maggiore è tra Lachlan e James, una competizione per il potere segnata anche da una profonda divisione politica. Lachlan, che gestisce la Fox, è schierato a destra, e James considera l’emittente televisiva una minaccia alla democrazia per aver soffiato sul fuoco del trumpismo e aver agito da apprendista stregone scatenando “forze insidiose, attraverso la propagazione di notizie false”. Nel momento in cui Rupert lascerà questa valle di successi e piaceri, lo scontro sarà inevitabile. James è convinto di ottenere l’appoggio di Liz, la più liberal, Prue è in Svizzera e vuol mantenere un buon rapporto con tutti. La visione di cosa deve fare un gigante dei media è così diversa che si arriverà a una resa dei conti, ne è convinto Raffi Amit della Wharton School of Business che studia le imprese familiari e i passaggi generazionali. 

 

Non esistono, a quanto sembra, divergenze politico-culturali dietro le tensioni tra gli eredi di Leonardo Del Vecchio. Il fondatore di Luxottica, morto l’anno scorso a 87 anni, in un primo tempo aveva diviso il patrimonio di famiglia, stimato in circa 30 miliardi di euro, in otto quote uguali, assegnate rispettivamente ai suoi sei figli (Claudio, Marisa, Paola, Leonardo Maria, Luca e Clemente), più alla sua seconda moglie Nicoletta Zampillo e al di lei figlio di primo letto, Rocco Basilico. In tre documenti successivi, scritti di proprio pugno, l’imprenditore aveva aggiornato l’asse ereditario prevedendo riconoscimenti anche per due suoi uomini di fiducia: Francesco Milleri, amministratore delegato di EssilorLuxottica (con sede a Parigi) e Romolo Bardin, messo alla guida della Delfin, la holding finanziaria domiciliata in Lussemburgo. Mentre all’ultima moglie (sposata in realtà per la seconda volta) è toccato il 25 per cento (la metà del quale la signora ha girato al figlio Rocco). Restano fuori gli “spiccioli”, case, panfilo, annessi e connessi. Luca, 22 anni e Clemente, 19 anni, sono il frutto della relazione tra Del Vecchio e Sabina Grossi, già responsabile delle relazioni istituzionali dell’azienda di montature per occhiali, e avrebbero deciso di impugnare parte del secondo testamento. A loro avviso è eccessivo il potere di Milleri, estraneo alla famiglia, nel quale si concentrano proprietà e gestione, contro gli insegnamenti della migliore governance. Milleri si è visto assegnare azioni Essilux per 400 milioni di euro con in più il ruolo di referente e coordinatore. E’ vero che, secondo le volontà del fondatore, ogni decisione richiede una maggioranza dell’88 per cento, quindi la volontà di ciascun ramo della famiglia resta determinante, tuttavia chi ha in mano il timone ha sempre un asso nella manica. Secondo alcune interpretazioni il cruccio principale è come dividere i 200 milioni per le tasse di successione. Secondo altri c’è in ballo il futuro dei gioielli finanziari custoditi in Delfin, cioè le quote in Mediobanca (quasi il 20 per cento), nelle Assicurazioni Generali (9,82 per cento) e in Unicredit (2 per cento). Sembrava la successione perfetta, invece…

 

In casa Agnelli si ripresenta il caso Andrea mentre continua la tragedia greca di Margherita, la madre equanime, in lotta con John, Lapo e Ginevra, i figli avuti con Alain Elkann a difesa degli altri cinque figli Maria, Pietro, Anna, Sofia, Tatiana, avuti con il secondo marito Serge de Pahlen (“Agnelli coltelli” è il titolo del libro di Gigi Moncalvo pubblicato l’anno scorso dopo anni di tira e molla). La cassaforte Giovanni Agnelli BV, portata quattro anni fa in Olanda, vale 7,8 miliardi di euro secondo le stime del Sole 24 Ore. Il ramo Giovanni Agnelli ne detiene il 37,96 per cento attraverso la Dicembre controllata da John Elkann, il ramo Maria Sole il 12,32; il ramo Umberto Agnelli l’11,85; seguono Giovanni Nasi con l’8,75, Laura Nasi-Camerana con il 6,52, Cristiana Agnelli-Brandolini d’Adda con il 5,67, Susanna Agnelli-Rattazzi il 4,81. Dopo i disastri juventini e le sue dimissioni dalla presidenza si è speculato sul futuro di Andrea e del club calcistico. Con il cugino John era stato stretto un patto finora chiaro: al figlio di Umberto le attività sportive oltre ad alcune poltrone di rappresentanza in Exor e nella galassia famigliare, al nipote dell’Avvocato il comando supremo. Adesso questo accordo potrebbe venir meno fino all’uscita di Andrea dalla società di famiglia per cominciare un proprio percorso. Qualcosa del genere accadde anche al padre, ma Umberto, dopo aver lasciato ogni ruolo nella Fiat sviluppò con la Ifint una proficua attività finanziaria parallela, senza mai rompere tuttavia con il fratello. Tanto che la stessa Exor deriva dalla Ifint che cambiò nome dopo l’acquisizione della Perrier nel 1993. Secondo quel che ha scritto Marigia Mangano sul Sole, la quota di Exor posseduta da Andrea sarebbe pari al 6 per cento. Nel caso venisse liquidata, la famiglia scenderebbe al 45 per cento, ma esprimendo comunque diritti di voto del 76 per cento. Dunque, la diaspora dell’ultimo con il cognome Agnelli non metterebbe in pericolo gli equilibri proprietari. 

 

Niente a che vedere con quel che accadde ai piani alti della Volkswagen, segnati dal conflitto durato mezzo secolo tra la famiglia Porsche, erede diretta del fondatore, l’ingegner Ferdinand che progettò la macchina del popolo voluta da Adolf Hitler, e quella dei successori Piëch. Ai primi le auto di lusso, ai secondi l’auto di massa. La spartizione ha funzionato finché nel 2010 non si pensò a fondere le due aziende creando un gruppo che tra Volkswagen, Audi, Porsche, Lamborghini, Seat, Skoda, Bugatti, Bentley, è il primo al mondo testa a testa con Toyota. Ferdinand Piëch, nipote di Ferdinand Porsche (la figlia Louise aveva sposato Anton Piëch) nel Dopoguerra si era fatto le ossa alla Volkswagen. Quando la madre e lo zio Ferry Porsche nel 1972 decisero di lasciare la guida ai manager, era passato alla Audi diventando amministratore delegato. Nel 1993 torna alla casa madre che, tra conflitti con i manager e gli eredi azionisti, non mollerà fino al 2015. E’ morto nel 2019 a 82 anni lasciando tredici figli avuti da quattro madri diverse. Vero dominatore dell’auto tedesca, aveva deciso di blindare la sua partecipazione azionaria per favorire l’ultima moglie Ursula più giovane di 19 anni, passando i pacchetti azionari a due fondazioni austriache.

 

Nei primi anni 2000, la Porsche guidata da un manager d’assalto, Wendelin Wiedeking che aveva portato il gruppo a valere ben 25 miliardi di euro, cerca di scalare la Volkswagen. Per i Porsche sembra arrivata la grande rivincita, ma la crisi finanziaria del 2008 fa saltare il progetto e sarà al contrario la macchina del popolo a salvare e ingoiare la macchina dei ricchi. La guerra dei Porsche-Piëch s’è placata, il gruppo nel cui azionariato è presente il Land della Bassa Sassonia con il 20 per cento, è guidato da Herbert Diess proclamato tra i migliori manager del mondo, tra i dieci membri del consiglio di sorveglianza, che rappresenta gli azionisti, siedono due Porsche e un Piëch, tutti con passaporto austriaco. 

 

E’ il destino del capitalismo di famiglia quando giunge all’appuntamento con lo scorrere del tempo. Si potrà saltare una generazione, ma poi bisognerà accettare l’inevitabile e dovranno farlo anche i Del Vecchio. La “presenza virile” dell’imprenditore schumpeteriano che tanto piaceva a Bruno Visentini si scontra con le previsioni dello stesso Joseph A. Schumpeter, il quale riteneva ineludibile l’avvento della “impresa di nessuno” (sempre per citare Visentini). In Italia è già avvenuto con alcuni grandi protagonisti (pensiamo a Carlo De Benedetti) e resta in bilico il futuro assetto del gruppo Benetton (Alessandro il figlio di Luciano ha preso ora le redini), mentre sono accesi da tempo i riflettori su Mediaset di Silvio Berlusconi. Ma questa è un’altra puntata.