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l'eventocrazia

Fenomenologia delle assemblee associative, il giusto mix di ingredienti

Dario Di Vico

Un rito che si perpetua pressoché uguale a sé stesso e che si scarica nelle settimane a cavallo tra metà giugno e metà luglio, il tutto nella capitale, dove ci sono più chance di tirare dentro i ministri

Siamo nella stagione delle assemblee annuali della rappresentanza e dei corpi sociali. Un rito che si perpetua pressoché uguale a sé stesso e che si scarica nelle settimane a cavallo tra metà giugno e metà luglio. La Fabi addirittura esagera, perché la sua assemblea la tiene aperta per giorni ma in generale ce la si può fare tranquillamente in una mattinata. Nella stragrande maggioranza dei casi le assemblee si tengono a Roma piuttosto che in giro per l’Italia e il motivo è molto semplice: restando nella capitale ci sono più chance di tirare dentro i ministri. Chi riesce a convogliarne di più si imbroda e confida ovviamente in un’ampia copertura giornalistica, basata soprattutto sulla tv di stato.


Se la caccia al ministro o ai ministri è il piatto forte degli organizzatori, la metodologia vigente ha anche altri precetti. Non disdegna, per esempio, di tirar dentro una guest star, un personaggio di larga popolarità che anche in questo caso possa attirare altre attenzioni (magari generaliste) verso l’assemblea e l’associazione che la organizza. Intere mattinate e pomeriggi sono poi dedicate alla scelta del titolo dell’evento, deve colpire per efficacia e sintesi e non dare il segno di una ribollita. Ovviamente la sala deve essere piena e quindi la convocazione della periferia deve essere perfetta, non si accettano defezioni e non si fanno prigionieri. Il dirigente locale che per qualche motivo buca l’assemblea nazionale pagherà il fio di tanta impudenza. La recita annuale richiede un pubblico ossequioso, capace al dunque di spellarsi le mani e allo stesso tempo necessario per dimostrare al ministro di turno il radicamento territoriale dell’associazione e la capacità di muovere le pedine lungo la Penisola. Non c’è poi assemblea che non abbia i suoi effetti speciali: la regia dell’evento occupa nella sala spazi sempre più larghi, i guru delle luci sono i più ricercati, la scaletta degli interventi, dei saluti, delle pause, delle comparsate è studiata minuziosamente per giorni e giorni. Nelle ore immediatamente precedenti il Grande Evento circolano più versioni della medesima scaletta e le gerarchie si verificano anche in base alla freschezza o meno del documento che si possiede e si custodisce gelosamente. In tanta preparazione, alla fin fine quella che è considerata meno importante è proprio la relazione del presidente o del segretario in carica. Ci hanno lavorato in maniera indefessa uno o più ghostwriter ma la relazione non deve essere mai troppo puntuta, deve saper volteggiare tra riferimenti di politica internazionale e scenari domestici ma senza esagerare. La relazione è strumento di coesione, non di conflitto. Toccherà agli esegeti del leader caso mai – e solo rigorosamente a voce – sottolineare un breve passaggio o addirittura un aggettivo per conferire peso e originalità al manufatto. L’importante però anche in questo caso è non eccedere. L’assemblea annuale potrebbe essere il momento per proporre un’analisi raffinata o almeno aggiornata del settore a cui si appartiene, del mondo che si vuole rappresentare ma chi alla fine davvero privilegiasse queste intonazioni rischierebbe di essere catalogato come un eccentrico. Giammai.


L’unico pathos di un evento così confezionato lo può dare un cambio al vertice e allora molte cose cambiano. Se ci sono un entrante e un uscente bisognerà vagliare con cura i pesi dell’esposizione mediatica dell’uno e dell’altro, evitare fraintendimenti. Quanto al merito ovvero chi è il nuovo leader e come è stato scelto in questa giornata di tripudio è assolutamente secondario. In genere gli avvicendamenti – sempre meno frequenti – sono il frutto di lunghissime trattative che definire bizantine è decisamente poco. Un’assemblea di questo tipo non vuole tesi diverse, divisioni e fratture, vuole celebrare la propria unità. E comunque l’ultima cosa che i cerimonieri delle assise prevedono è di ascoltare la voce dei rappresentati. Non è questa la loro giornata, applaudano e poi vedremo. Tutto bene, dunque, per il successo delle recite annuali della rappresentanza? Purtroppo no e non è certo colpa dei collaudatissimi organizzatori. I guai maggiori stanno nei calendari strapieni e nel rischio di andare in sovrapposizione con altre recite magari di gruppi concorrenti. Oppure, caso sciagurato, nel finire annegati nella massa degli eventi che ogni giorno la capitale ospita. Ormai gli impresari di talk dal vivo si sono moltiplicati, l’eventocrazia ha conquistato il banco e la concorrenza si è fatta spietata. E se alla fine il ministro arriva in clamoroso ritardo (circostanza molto frequente) o addirittura alla fine si collega in streaming dal suo dicastero è la fine di un piccolo sogno. Ci rifaremo l’anno prossimo.

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