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Controllare l'economia minuto per minuto? Errore. L'altra lezione di Visco

Nicola Rossi

Nelle Considerazioni finali di mercoledì il Governatore della Banca d'Italia ha voluto trarre dagli eventi dell’ultimo quindicennio oltre che specifiche prescrizioni indicazioni di metodo. Ecco quali

Pur essendo annuali le Considerazioni finali del Governatore della Banca d’Italia hanno sempre un respiro che va oltre quello di un singolo esercizio contabile. Si appoggiano spesso sulla memoria dell’Istituzione per spingersi in avanti lì dove la nebbia a volte è particolarmente fitta. Ciò è particolarmente vero per le Considerazioni finali rese due giorni fa, nella rituale data del 31 maggio, il cui sfondo era inequivocabilmente quello di un quindicennio – l’ultimo – segnato da una crisi finanziaria di prima grandezza, dalla successiva crisi dei debiti sovrani, dalla emergenza pandemica, dagli eventi bellici nell’Est europeo, dai segnali ripetuti inviati dai cambiamenti climatici, e infine da una perdurante ed incessante incertezza. Ma, diversamente da quanto accaduto in altre occasioni, nelle Considerazioni finali di mercoledì il Governatore ha voluto trarre dagli eventi dell’ultimo quindicennio oltre che specifiche prescrizioni – che pure non sono mancate – indicazioni di metodo. Lezioni che ogni classe dirigente ed ogni collettività dovrebbero fare proprie perché di eventi apparentemente straordinari ma, nella realtà, tutt’altro che privi di precedenti è fatta la nostra quotidianità.

Lezione numero uno: sbagliamo tutti. Ma proprio tutti: individui ed istituzioni. Ma non tutti riconoscono di aver sbagliato. Ricordare “gli ampi errori di previsione degli esperti della Bce e dell’Eurosistema, così come di pressoché tutti gli analisti” in tema di inflazione, è non solo un esempio piuttosto raro di onestà intellettuale, ma anche una verità che soprattutto i cittadini non dovrebbero mai dimenticare. I limiti ai comportamenti delle autorità di politica economica non sono vincoli per le collettività ma spesso e volentieri sono modalità con cui i cittadini contengono e limitano le conseguenze e l’impatto degli errori delle autorità stesse. Errori, se si vuole, commessi in assoluta buona fede ma inevitabilmente gravidi di conseguenze non sempre positive. Errori che non possono non spingerci a domandarci se l’iperattivismo delle autorità di politica economica e la loro attitudine a “controllare” l’economia minuto per minuto non debba essere guardato con qualche preoccupazione e qualche sospetto.

E qui arriva la lezione numero due. Ex post è quasi sempre possibile imputare eventi negativi alla natura, alla entità ed alla tempistica di questo o quell’intervento di politica economica. È quasi inevitabile, ad esempio, immaginare che vi sia una qualche relazione fra le recenti scelte di politica monetaria e fiscale negli Stati Uniti e le altrettanto recenti tendenze dell’inflazione in quel paese. Ma nel criticare quelle scelte di politica economica non si dovrebbe mai dimenticare di porsi una domanda: cosa sarebbe accaduto se quelle scelte non fossero state prese? Il che non esclude che di quelle scelte si possano discutere singoli aspetti ma impone – con “una buona dose di umiltà” – di accettare che senza quelle scelte gli eventi avrebbero con ogni probabilità preso, a quel punto, un corso ben più devastante. Mettendo insieme le due lezioni, emerge – a parere di chi scrive – una indicazione di fondo: nelle situazioni di emergenza la politica economica può essere l’unica leva di cui disponiamo per tirarci fuori da situazioni da cui finiremmo per uscire solo a prezzo di ben maggiori sofferenze, ma quando le luci rosse dell’emergenza non sono accese è forse bene che la politica economica accetti di ritornare nei ranghi. Si accontenti di una presenza discreta, di prevenire assai più che non di immaginare di deviare – senza poi riuscirci o, addirittura, ottenendo l’effetto contrario – il corso delle cose. Sulle specifiche indicazioni di policy contenute nelle Considerazioni finali si potrà consentire o dissentire (e chi scrive dissente, ad esempio, dall’invito alla introduzione di “un salario minimo” in assenza di una qualche considerazione sul conseguente inevitabile superamento della contrattazione collettiva). Ma consenzienti e dissenzienti non potranno non concordare sul fatto che in un paese come il nostro in cui ognuno di noi si sente spesso depositario della ricetta risolutiva, il compito di istituzioni che, come la Banca d’Italia, hanno fatto la storia del paese va oltre quello di fornire ulteriori ricette. Ad esse chiediamo – e la Banca d’Italia non ha mai mancato di farlo – di indicare al paese un modo di essere e di affrontare i problemi, un modo con cui percorrere la strada che ha davanti. Sempre e comunque – direbbe Visco – con “curiosità, studio e conoscenza”.

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