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L'editoriale del direttore

Il manifesto sull'ottimismo di Visco è una lezione contro la politica fatta di fuffa, allarmismi e capri espiatori

Claudio Cerasa

Il governatore di Bankitalia, nelle sue ultime considerazioni finali sceglie di congedarsi invitando a osservare l’Italia per quello che è e non per quello che appare. Un paese in salute, ma che può ancora migliorare molto

Non parlate di un’Italia che non c’è. Non assecondate la retorica catastrofista. Non soffiate sul fuoco dell’allarmismo. Non parlate di problemi che non esistono. Non attaccate il governo sulla fuffa. Non concentratevi sul resistere, resistere, resistere, ma dedicatevi al crescere, crescere, crescere o se volete allo spendere, spendere, spendere. E non dimenticate  che il futuro dell’Italia passa anche dalla capacità della sua classe dirigente di andare alla radice dei suoi vizi e dei suoi tabù. Ignazio Visco, governatore di Bankitalia, nelle sue ultime considerazioni finali – il suo mandato scade in autunno – sceglie di congedarsi con un affresco molto ottimistico sull’Italia di oggi.

L’Italia, vista da Visco, è un paese che ha mostrato negli ultimi mesi una “confortante capacità di resistenza e di reazione”, un “solido tessuto produttivo”, un “recupero di competitività”, “una robusta espansione delle esportazioni”, una “forte ripresa dell’accumulazione di capitale”, una “domanda aggregata che ha proseguito nel recupero”, un sistema bancario che “si trova in condizioni sufficientemente buone”, una serie di ristrutturazioni aziendali che “hanno favorito il rafforzamento dell’economia”, un “livello di indebitamento delle famiglie complessivamente basso, pari nel 2019 al 41 per cento del pil, 15 punti in meno della media dell’area euro”, una crescita di imprese in grado di affrontare le difficoltà “con un assetto finanziario più solido ed equilibrato rispetto ai precedenti gravi periodi di crisi” e un prodotto interno lordo che anche quest’anno “ha superato le attese” (ieri, neanche a dirlo, l’Istat ha registrato un pil già acquisito per l’anno in corso superiore alle previsioni di aprile: +0,1 per cento).

E’ un Visco ottimista, anti lagna, quello che si congeda da Bankitalia, quello che invita a osservare l’Italia per quello che è e non per quello che appare. Ma è un Visco che fa anche altro. E che invita a uscire fuori dal paradigma della lagna anche rispetto a quella che è la traiettoria del nostro paese.

Sì, certo, dice Visco, i problemi esterni, tali da poter rendere il cammino dell’Italia incerto, esistono ancora. Esiste l’inflazione alta, anche se sempre meno alta. Esiste la volatilità dei mercati, anche se al momento gestibile. Esistono i problemi finanziari, come quelli americani e svizzeri, che ci fanno ricordare “quanto velocemente la fiducia degli investitori possa deteriorarsi e come, di conseguenza, i rischi per la stabilità finanziaria non vadano mai sottovalutati”. Ma i guai veri, profondi, strutturali non derivano, dice Visco, dai problemi esogeni, ma derivano dai problemi endogeni. Derivano da tutto ciò che l’Italia sa che deve fare per migliorare le sue performance e che però sistematicamente dimentica di fare.

Lo vogliamo dire o no, dice Visco, che il fatto che l’Italia non cresce quanto potrebbe, non crea lavoro come potrebbe e non migliora i salari come potrebbe “dipende in larga misura dalla capacità di tornare a ritmi di crescita della produttività del lavoro nettamente superiori a quelli degli ultimi venticinque anni?”. Lo vogliamo dire o no che la crescita della nostra economia passa non dalla ricerca di capri espiatori in Europa ma “dalla rimozione delle misure che influiscono negativamente sulle scelte dimensionali e organizzative delle imprese?”. Lo vogliamo dire o no che il problema del Pnrr non è la possibilità che questo venga modificato ma è la necessità di farlo sapendo che “non c’è tempo da perdere?”. E lo vogliamo dire o no, infine, ed è questa forse la vera stoccata rifilata dal governatore al governo, che “gli effetti del calo della popolazione potranno essere mitigati nel medio periodo, oltre che da un allungamento dell’età lavorativa, solo da un aumento del saldo migratorio”, tema che dovrebbe essere di interesse per un esecutivo che prima o poi dovrà chiedersi chi sarà a pagare un costo delle pensioni in aumento anche a causa della disinvoltura con cui il centrodestra gioca da anni con l’età pensionabile?

Piuttosto che descrivere un’Italia che non c’è, quella dove tutto va male, e piuttosto che scaricare su capri espiatori esterni i problemi che riguardano l’Italia, l’invito di Visco è quello di combattere il populismo residuo che esiste nel nostro paese non per quello che fa ma per quello che non fa. Più che tempo di resistere è tempo di crescere, di spendere e di ritrovare la forza, la creatività e il coraggio di immaginare il futuro. Meno allarmismo, più crescita. Meno fuffa, più Europa. Meno propaganda, più produttività. Il messaggio di Visco è chiaro: il futuro del nostro paese passa dalla capacità di dare un futuro ai giovani spingendo la classe dirigente del presente a combattere i nostri tabù, a riconoscere i nostri vizi, ad ammorbidire le ideologie, a sbarazzarci degli schemi del passato e ribaltare come un calzino l’Italia della lagna coccolata dai talk-show.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.