La protesta degli studenti a Torino (Lapresse)

L'editoriale del direttore

Le tende della post verità. I tabù dirigisti da archiviare per dare agli studenti più case con affitti più bassi

Claudio Cerasa

L’unica categoria che può aiutare a risolvere il guaio della scarsità di alloggi universitari e del loro costo eccessivo sono i privati. Un dibattito nato male in cui si nasconde il futuro del diritto allo studio, il peso del fisco e l’efficienza dello stato

Sotto quella tenda, oltre agli studenti, c’è molto altro. C’è il diritto allo studio. C’è il futuro del Pnrr. C’è il peso del fisco. C’è l’impatto dell’inflazione. C’è l’ideologia ambientalista. C’è l’efficienza dello stato. E c’è, infine, la miopia nei confronti dell’unica categoria che può aiutare a risolvere un guaio che esiste: i privati. Le numerose proteste studentesche portate avanti da giorni in alcune città italiane contro la scarsità di alloggi universitari, e il loro costo eccessivo, sono state finora seguite dall’opinione pubblica, e da buona parte della classe politica, attraverso una lente di ingrandimento distorta, finalizzata a dimostrare tre false verità.

 

Verità numero uno: il guaio degli alti costi degli alloggi è responsabilità dei famigerati mercati che speculando sugli affitti rendono le case inaccessibili agli studenti più bisognosi (versione di alcuni comitati studenteschi). Verità numero due: il guaio degli alti costi degli alloggi è responsabilità dei comuni di sinistra ed è un affare che devono risolvere i sindaci (versione del governo). Verità numero tre: il guaio degli alloggi alti non può che essere affrontato intervenendo sull’offerta e calmierando artificialmente il prezzo degli affitti (versione Pd e M5s). Tutte e tre le affermazioni che stanno movimentando il dibattito pubblico rientrano però in una categoria riconducibile più alle “post verità” che alle verità. E le post verità appena elencate, meriterebbero di essere messe a nudo provando a fare i conti con alcuni tabù rimossi dal nostro dibattito pubblico. Al centro c’è sempre un filo conduttore chiaro. Sempre quello: i privati. Carlo Stagnaro, in un saggio intervento pubblicato ieri sull’Huffington Post, ha giustamente notato che se gli affitti sono inaccessibili, in Italia, è perché la domanda di locazioni è spesso superiore all’offerta. E se si sceglie di partire da questa premessa, lineare, i ragionamenti successivi non potranno che girare attorno a una domanda scontata: più che preoccuparsi di come calmierare artificiosamente i prezzi, non sarebbe il caso di chiedersi cosa andrebbe fatto per far crescere gli spazi abitabili sia nelle zone universitarie sia in quelle limitrofe e collegate attraverso il trasporto pubblico?

 

Per prima cosa, nota ancora Stagnaro, andrebbero messi da parte anni di retorica contro la “speculazione” e il “consumo di suolo” e andrebbe accettato il fatto che la scarsità di alloggi è spesso dovuta alle eccessive restrizioni edilizie (meno burocrazia, più spazio alla libertà di impresa). In secondo luogo, andrebbe capito, poi, come lo stato, in questi anni, ha gestito la creazione di posti letto per gli studenti più bisognosi. E finora, riconosce chiacchierando con il Foglio Alberto Scuttari, presidente CoDAU (ente che rappresenta i direttori generali di tutte le università italiane, pubbliche e private) ed esperto di housing universitario, non si può dire che le regole che si sono date le istituzioni pubbliche per affrontare questo dossier abbiano funzionato a dovere. In Italia, la norma che regola il settore è dell’anno 2000 (legge numero 338). In ventitré anni, i posti letto creati all’interno di questo perimetro sono stati circa 50 mila. Pochi posti e per di più creati con un esborso eccessivo di risorse. Per capire perché i posti sono molto pochi è sufficiente guardare le medie europee: attualmente, secondo un rapporto dell’aprile scorso realizzato da Scenari immobiliari e Camplus, la copertura dei posti letto offerti agli studenti universitari fuori sede si attesta intorno al 10,5 per cento mentre il tasso di copertura medio europeo è del 20 per cento.

 

Secondo questi dati, oltre il quaranta per cento dell’offerta di posti letto complessiva in Italia è concentrata a Milano, Roma, Torino, Bologna, che si trovano dunque in difficoltà non per i colori politici delle loro giunte ma per il numero molto alto di studenti che ospitano quelle città: solo Milano, per capirci, mette a disposizione degli studenti circa 12.100 posti letto, pari al 17,4 per cento dell’offerta complessiva nazionale. Per capire perché i posti creati sono stati molto costosi è sufficiente invece attingere ad alcune cifre contenute nella relazione sull’andamento della legge 338 del 2000 (dati di aprile). In vent’anni, lo stato ha stanziato complessivamente un miliardo di euro, con cui sono stati cofinanziati 317 progetti per un numero complessivo di 37.913 posti alloggio creati. Di questi ne sono stati messi in esercizio appena 29.502 (pochini). Inoltre, dato ancora più interessante che riporta il presidente Scuttari, un posto letto costruito dal pubblico ha un costo medio che si attesta tra i 70 e gli 80 mila euro mentre un posto letto costruito da un privato si attesta tra i 50 e i 60 mila euro. Si dirà: e quanti sono stati i posti letto creati per studentati negli ultimi anni dallo stato e quanti sono stati quelli creati dai privati? Il 90 per cento li ha fatti il pubblico e il 10 per cento li ha fatti il privato.

 

Dunque: pochi posti letto, fatti lentamente, a un costo molto alto, con poca capacità di gestire le risorse. Risultato: pochi alloggi, prezzi alti. Nel 2021, il governo guidato da Mario Draghi intuì la centralità del dossier e decise di dedicare a questo tema un capitolo del Pnrr. Il target da conseguire entro dicembre 2026 è estremamente ambizioso: il raggiungimento di 60 mila posti letto aggiuntivi, ovvero il 125 per cento di posti in più rispetto al dato iniziale (47.500). Budget stanziato (pochino): 960 milioni di euro. Strumenti immaginati? L’incremento della percentuale di cofinanziamento ministeriale dei posti letto realizzati nelle residenze universitarie e la riforma della legislazione sugli alloggi, “al fine di introdurre nuove forme di partenariato pubblico-privato, agevolazioni fiscali e ridefinizione degli standard, con scadenza dicembre 2022”. Il filo è sempre quello: coinvolgere i privati, usando la leva fiscale e altri incentivi per spingere gli investitori a scommettere maggiormente su questo settore. Luigi Marattin, già presidente della commissione Finanze, ieri, in un lungo post su Facebook, ha raccontato una storia istruttiva su questo tema. La storia riguarda Ferrara, dove recentemente un privato si è fatto avanti, proponendo di investire 75 milioni di euro in un progetto di riqualificazione urbana che prevedeva di trasformare una vecchia caserma abbandonata da trent’anni in pieno centro città in una residenza universitaria da 400 posti. Dopo poco tempo, dice Marattin, “il privato è dovuto scappare a gambe levate a causa della reazione rabbiosa della città e di due terzi delle forze politiche”. Motivo?

 

All’interno del progetto, per garantirne la sostenibilità economica a fronte della riqualificazione di altre aree, c’era anche la realizzazione di un punto vendita commerciale, considerato dalla politica locale “troppo vicino alle bellissime Mura medioevali della città”. Risultato: niente progetto, niente riqualificazione, niente studentato. “L’ultima volta che sono stato in quella città – dice Marattin – c’erano un gruppo di studenti fuori-sede che protestava per gli affitti: attorno, a coccolarli e a cercare i flash dei fotografi, gli esponenti delle forze politiche che avevano affossato il progetto”. Morale della favola: prima di accusare gli studenti di essere lavativi o i proprietari di immobili di essere speculatori, non varrebbe la pena fare una seria riflessione su perché il potere pubblico non è in grado di realizzare residenze universitarie né quando i soldi ce li mette l’Europa né quando ce li mettono i privati? Diritto allo studio. Futuro del Pnrr. Peso del fisco. Impatto dell’inflazione. Ideologia ambientalista. Efficienza dello stato. Quando il dibattito pubblico vorrà entrare nelle tende degli studenti passando dalla rincorsa alla post verità alla ricerca della verità dovrà partire da qui: cosa fare per aiutare i privati con maggiore efficienza e con più velocità quello che lo stato non la forza di fare da solo. Vale per quelle tende, ma vale anche per l’Italia.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.