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Le riforme

Taglio del cuneo e riforma del Reddito di cittadinanza. Il Primo maggio formato Meloni

Stefano Cingolani

Mentre i sindacati scendono in piazza, il governo lavora per affrontare i diversi campanelli d'allarme: in primis il nuovo Patto di stabilità e la revisione dei contratti

Il messaggio è chiaro, quasi ovvio: mentre il Primo maggio i sindacati sono in piazza, il governo lavora. I simboli contano soprattutto in politica, ma Giorgia Meloni fa bene a non perdere tempo: anche se la congiuntura economica mostra segnali positivi, suonano diversi campanelli d’allarme. Nel primo trimestre il pil è cresciuto dello 0,5 per cento e dell’1,8 per cento tendenziale, ben oltre la media nell’Eurozona (+0,1 e +1,3 per cento). La Germania è ferma e rallentano gli Usa, principali sbocchi delle merci italiane, e il governo ha deciso di sostenere la domanda interna con misure fiscali. Lunedì sul tavolo ci sono tre pacchetti: un ulteriore taglio del cuneo fiscale per i lavoratori che percepiscono meno di 35 mila euro l’anno; un nuovo Assegno di inclusione a partire dal primo gennaio prossimo; la revisione dei contratti a termine. Sono i capitoli annunciati nella lettera ai sindacati convocati per domenica sera, ma è evidente che non basterà. C’è da definire la riforma fiscale (sulla flat tax Cgil, Cisl e Uil non sono d’accordo) e occorre capire come verranno inseriti gli incentivi per i figli annunciati da Giancarlo Giorgetti. Soprattutto occorre affrontare il problema numero uno: come aumentare i salari senza innescare la rincorsa dei prezzi. Da parte sindacale (a cominciare dalla Cisl) cresce la richiesta di un approccio sistemico. Ieri al Cnel (Renato Brunetta è il nuovo presidente) Giuliano Amato ha ricordato i trent’anni dall’accordo Ciampi, patto a tre governo-sindacati-imprenditori che fissava un tasso d’inflazione programmato come punto di riferimento per la dinamica dei redditi. Uno schema del genere è inattuale, tuttavia tamponare le conseguenze ex post non serve a frenare l’aumento dei prezzi né ad assicurare una crescita non inflazionistica delle buste paga.

 

Il decreto prevede di aggiungere 1-1,5 punti alla riduzione dei contributi  ereditata da Draghi e prorogata da Meloni. Si arriverà così uno sgravio di  3-3,5 punti i redditi tra  25 e  35 mila euro e di 4-4,5 punti per quelli inferiori a 25 mila. Non è granché, un aumento medio inferiore a 20 euro al mese, ma le risorse sono poche, come mostra il Def approvato finalmente ieri. Non solo: vedremo come finirà la trattativa sul nuovo Patto di stabilità, in ogni caso bisogna aggiustare i conti di 14-15 miliardi di euro l’anno se il traguardo sarà quadriennale o di 8 miliardi se il rientro sarà di sette anni. Ma il piatto forte, quello che rinfocolerà la polemica politica, riguarda il Reddito di cittadinanza. La bozza fin qui circolata è un malloppo di una cinquantina di pagine piene di locuzioni come “agli oneri derivanti dal presente articolo si provvederà mediante…” L’assegno di inclusione, quale misura di contrasto alla povertà, è condizionato “alla prova dei mezzi e all’adesione a un percorso personalizzato di attivazione e di inclusione sociale e lavorativa”. Ne gode chi è cittadino della Ue residente in Italia per almeno cinque anni, con un  Isee fino a 9.360 euro, un reddito inferiore a 6 mila euro e un patrimonio sotto i 30 mila euro a parte la prima casa. Viene introdotto un vincolo  con il Percorso personalizzato di inclusione, con una stretta sui controlli e le sanzioni, un limite di 80 km per i contratti a termine e nessun limite quelli a tempo indeterminato. C’è una riserva del Mef sul rimborso delle spese di trasporto e sulla maggiorazione dell’assegno per i figli a carico. Per la proroga dei contratti a termine, i sindacati insisteranno sul rinvio alla contrattazione una volta scaduti. Tuttavia l’impressione è che il governo non voglia solo ridimensionare il Reddito di cittadinanza, ma regolare un welfare più strettamente legato all’inserimento nel mercato del lavoro, il principale punto debole della misura tanto cara ai grillini.