Foto via LaPresse 

tra 2008 e 2023

Sarà il potere d'acquisto il vero nemico del governo Meloni

Marco Leonardi

Per mantenere le buone statistiche sulla distribuzione del reddito occorre mettere il lavoro dipendente al centro del programma. La protesta sulla benzina ha un valore più ampio: è una spia di malessere

I governi di Europa e Stati Uniti hanno imparato dagli errori compiuti nella crisi del 2008 e la risposta alla crisi del 2020-2021 è stata molto migliore. Se guardiamo come i governi da ambo i lati dell’Atlantico hanno reagito alla crisi del 2008 e confrontiamo i risultati in termini di redditi e occupazione con la reazione alla crisi del Covid del 2020-2021 non possiamo che concludere che abbiano fatto molto meglio in tempi recenti. La crisi finanziaria del 2008 ebbe effetti molto pesanti e duraturi in termini caduta del prodotto interno lordo e di aumento della disoccupazione.

 

Addirittura in Europa e soprattutto in Italia gli errori di policy hanno contribuito anche all’insorgere della seguente crisi dei debiti sovrani del 2011. Per lunghi anni quindi dal 2008 al 2014 si sono protratti gli effetti negativi della crisi su pil e occupazione. La crisi Covid invece è stata una crisi molto profonda (anche più profonda del 2008 al culmine della crisi) ma molto rapida. Tutti i paesi sviluppati, chi più chi meno, sono oggi tornati ai livelli pre crisi o li hanno ampiamente superati. Una ragione sta sicuramente nella diversa origine delle due crisi: nel 2008 si trattò di una crisi di origine finanziaria con effetti duraturi e contagiosi sui bilanci delle banche e delle imprese, nel 2020 si trattò di qualcosa di simile a un disastro naturale con uno shock improvviso e devastante.

 

Nulla toglie che se avessimo sbagliato le risposte, a iniziare dalla politica dei lockdown, probabilmente non saremmo tornati dopo due soli anni agli stessi livelli di pil del 2019. L’Italia ha oggi livelli di occupazione maggiori del 2019. La principale differenza è che i governi hanno speso molto di più per contrastare la crisi. In Europa lo stimolo fiscale dei pacchetti di bilancio 2020 è stato pari a poco più del 4 per cento del pil, mentre nel 2009 fu dell’1,5 per cento.

 

In Europa l’Italia è uno dei paesi che ha speso di più. Le spese principali sono state gli strumenti di protezione del lavoro come i sussidi di disoccupazione e la cassa integrazione ma anche i sussidi a fondo perduto per famiglie e imprese e le garanzie sui prestiti per le imprese. Gli Stati Uniti addirittura hanno speso il 10 per cento del pil solo per compensare le famiglie. Non solo i governi hanno speso molto di più ma anche dal punto di vista distributivo hanno compensato la parte più povera della popolazione. In Italia, l’Istat produce una misura degli effetti delle politiche pubbliche sulla distribuzione dei redditi che fa vedere un effetto positivo sia delle misure del governo Conte II che del governo Draghi.

 

Nel 2020, l’effetto combinato della cassa integrazione, del Reddito di cittadinanza e di emergenza e dei bonus a fondo perduto per dipendenti e autonomi hanno ridotto l’indice di diseguaglianza da 31,8 a 30,2 e il rischio di povertà da 19,1 a 16,2. Nel 2022, l’assegno unico per i figli, le indennità una tantum, i bonus per le bollette elettriche e l’anticipo della rivalutazione delle pensioni hanno ridotto la diseguaglianza da 30,4 a 29,6 e il rischio di povertà da 18,6 a 16,8. Un risultato non da poco, per entrambi i governi.

 

Quale è la grossa differenza tra il 2008 e il 2020? L’inflazione. Nel 2008 fino al 2021 c’è stata inflazione zero, ora l’inflazione è alta. Per cui si spiega anche il paradosso che gli indici di fiducia dei consumatori erano alti nel 2009 nonostante la disoccupazione sono molto bassi adesso. La gente è più preoccupata e scontenta adesso che allora. Oggi la sfida principale del governo Meloni è l'inflazione e il governo sarà giudicato da come difende il lavoro e i risparmi della metà della popolazione che ha un reddito fisso medio basso. I cittadini più a rischio sono quelli a reddito fisso: i dipendenti pubblici e privati. Quelli che hanno solo il loro stipendio come sostentamento e magari non hanno le competenze per difendere i pochi risparmi. 

 

I governi sono liberissimi di dire quello che vogliono sull'inflazione lo hanno sempre fatto e sempre lo faranno. Inutile ricordare loro i benefici di avere una banca centrale indipendente e competente che ha il solo compito di sconfiggere l’inflazione. Tuttavia i governi non sono giudicati da come affrontano l'inflazione ma da come compensano i cittadini dagli effetti negativi dell'inflazione. Anticipare le pensioni a chi la pensione la otterrebbe dopo pochi mesi e finanziare l'operazione proprio con il taglio della rivalutazione delle pensioni quindi lasciando scoperti dall'inflazione i pensionati sopra i 2100 euro lordi al mese (meno di 1700 euro netti) va contro questo principio. Concentrare le risorse sulla flat tax dei lavoratori autonomi sopra i 65mila euro di reddito che sono quelli che più degli altri e più dei lavoratori dipendenti possono aumentare le parcelle e difendersi da soli dall'inflazione, anche questo va contro il principio di difendere i cittadini dall'aumento dell'inflazione.

 

Il governo Meloni ha fatto già innumerevoli retromarce: sul Pos, sui contanti ma anche sull’immigrazione, il Mes e sulle accise. Ora dovrà convincersi che per mantenere le buone statistiche sulla distribuzione del reddito che produce Istat dovrà mettersi a proteggere i dipendenti che sono la grande massa della popolazione. E non bastano affatto i sussidi per le bollette di gas e luce. Il paniere di consumo di una famiglia a basso reddito, al netto degli affitti e degli altri servizi, è più o meno così: 22 per cento cibo, 5 per cento energia e 12 per cento trasporti. Di qui la protesta sulla benzina. Ha fatto bene il governo a togliere il sussidio indistinto al costo della benzina, ma la protesta ha un significato più ampio ed è una spia di malessere: in mancanza di altre compensazioni, se non proteggi il mio potere d’acquisto, almeno fammi pagare meno la benzina.