Mario Draghi (Ansa)

l'analisi

I dati Istat e l'indice Gini dimostrano che Draghi ha fatto buone cose sulla povertà

Dario Di Vico

L'istituto di statistica, nel suo report “redistribuzione del reddito in Italia”, certifica che le misure adottate dall'ex premier hanno significativamente e volontariamente operato contro le disuguaglianze. Appunti per Meloni, verso l'abolizione del Rdc

Meno male che c’è la statistica ufficiale. Perché altrimenti il dibattito italiano sulla disuguaglianza non disporrebbe nella propria cassetta degli attrezzi di una bussola e sarebbe monopolizzato dalla frenetica ricerca di un posizionamento politico-culturale (magari in prossimità del congresso del Pd), piuttosto che da una ricognizione attenta degli strumenti scaricati a terra e dei loro risultati (che in questa materia restano per definizione parziali).

E così dall’Istat e dal suo report di ieri sulla “redistribuzione del reddito in Italia” veniamo a sapere che l’agenda Draghi non solo non si è palesata ai viventi come il manifesto dell’immarcescibile neoliberismo ma ha significativamente e volontariamente operato a favore dei Disuguali. Almeno di quelli in carne e ossa. Prendiamo l’indice Gini – venerato a sinistra come l’unica e vera misura della disuguaglianza – e scopriamo che nel 2022 “l’insieme delle politiche sulle famiglie” lo ha fatto scendere quasi di un punto da 30,4 a 29,6 per cento e di pari passo si sono ridotti anche il rischio di povertà sceso di quasi due punti dal 18,6 al 16,8 per cento e il poverty gap passato da 5,2 a 4,4. 

 

A quali provvedimenti si deve questa performance? L’Istat li riepiloga in maniera certosina: a) la riforma dell’Irpef; b) l’assegno unico e universale per i figli a carico; c) le indennità una tantum di 200 e 150 euro, i bonus per le bollette elettriche e del gas; d) l’anticipo della rivalutazione delle pensioni. Tutti adottati nel 2022 con l’ex presidente della Bce a Palazzo Chigi. Gli effetti delle politiche governative, avverte l’Istat, sono calcolati “a parità di altre condizioni”, cioè misurati per differenza fra lo scenario precedente – che applica la legislazione del 2021 ai redditi del 2022 – e lo scenario vigente nel 2022 e quindi comprensivo delle misure adottate nel corso dell’anno. In parole povere i dati forniti dall’Istat scontano già in partenza gli effetti redistributivi dell’introduzione del Reddito di cittadinanza, che cumulato con la Cassa integrazione, nel 2020 aveva portato a una riduzione dell’indice di Gini pari a 1,2 punti. Ma nel discorso pubblico italiano non è si è potuta finora affermare una piccola verità: se nel 2020 l’esigenza di contrastare l’emergenza aveva portato ad “ammassare le truppe al fronte” ovvero aveva indotto il governo Conte II sia a potenziare strumenti esistenti (come la Cig) sia a crearne di nuovi ad hoc, nel 2022 il successore Mario Draghi ha potuto selezionare gli obiettivi e perseguire, in primis con l’assegno unico, politiche redistributive mirate.

 

L’introduzione dell’assegno unico, infatti, ha migliorato la situazione di un numero significativo di famiglie (il 24,3 per cento) e il beneficio medio è stimato in 1.714 euro, circa 143 mensili. Ad avvantaggiarsene sono stati soprattutto i nuclei con minori sia formati da coppie sia monogenitoriali. La riforma dell’Irpef ha generato, invece, una diminuzione generalizzata delle aliquote medie effettive aiutando il 64,9 per cento delle famiglie con un beneficio medio di 828 euro ma non la si può ascrivere tra le politiche redistributive “volontarie”. Per effetto dei conflitti che divisero i partiti che sostenevano la maggioranza in Parlamento e l’esecutivo si arrivò a un difficile compromesso. Che alla fine ha premiato le famiglie con redditi medi e medio-alti. Il vantaggio fiscale risulta, infatti, meno elevato nel quinto più povero della popolazione nel quale si concentrano i contribuenti con redditi inferiori alla soglia della no tax area, esenti da imposta. Risultato compensato solo parzialmente dal fatto che appartengono al quinto più ricco della popolazione hanno subìto una perdita media di 824 euro, causata dall’abolizione delle detrazioni per i figli a carico che vengono compensate dall’assegno unico solo per una parte della famiglie con figli.

 

I bonus per l’elettricità e il gas e l’indennità di 150 euro hanno riguardato tre quarti delle famiglie e sono concentrati nei due quinti più poveri assumendo così, dice l’Istat, “un marcato profilo redistributivo”. Il quinto più povero della popolazione ne ha ricavato un beneficio medio di 749 euro corrispondente al 4,4 per cento del reddito familiare. Chiude lo studio dell’Istat la rivalutazione delle pensioni che ha sì generato un beneficio medio di 113 euro ma si può dire che tutto sommato ha avuto effetti redistributivi marginali. Tutti questi dati letti nella stagione Meloni serviranno ad aggiornare il dibattito sulla redistribuzione, specie in vista di quella lunga traversata nel deserto che dovrebbe portare il governo conservatore ad abolire nel 2024 il Reddito di cittadinanza.

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