Il solito vertice inutile
Tra profezie terrificanti e accuse all'occidente, c'è ben poco da salvare nella Cop27
I paesi del sud attaccano quelli del nord, stanchi delle loro false promesse. Altri si comportano invece come se non ci fosse alcuna questione climatica. E poi ci sono gli apocalittici. Se lo scopo principale della conferenza doveva essere la costruzione di uno spazio di dialogo, in Egitto sta avvenendo esattamente il contrario
In “di tutto di più” potrebbe sintetizzarsi il gran vociare nelle sale della Cop27 che si sta svolgendo a Sharm el Sheikh. E mancano ancora otto giorni alla sua fine. Alcuni gruppi comunque si stanno mettendo in mostra. In primis, i paesi del sud che sembrano aver perso la pazienza attaccando in modo sempre più duro quelli del nord, stanchi delle loro false promesse. Al centro di queste proteste vi è l’intera Africa – dove si tiene la Cop – scarsamente disponibile per altro ad allentare la sua crescita rinunciando alle fonti fossili, di cui è gran produttrice. “Gli africani non devono pagare per i crimini che non hanno commesso”, ha detto il presidente Touadèra della Repubblica Centrafricana, mentre Mohammed Adow, direttore di Power Shift Africa, ha accusato la Germania di “energy colonialism” per avere utilizzato la sua terra come “Gas station” per ricercare gas anziché sviluppare le rinnovabili.
Se la ragione prima delle conferenze organizzate dalle Nazioni Unite doveva essere quella di costituire uno spazio di dialogo, in Egitto sta avvenendo esattamente il contrario. C’è poi un gruppo di paesi che sembra totalmente disinteressarsi della questione climatica, preferendo annunciare grandi progetti magari nel campo delle fossili. A iniziare dalla Tanzania, che ha enfatizzato l’investimento di 40 miliardi di dollari nell’Lng in partnership con Equinor, Shell, ExxonMobil ed altre imprese internazionali. Il gruppo più impressionante è costituito tuttavia dalle personalità che vanno disegnando le più terrificanti profezie sul futuro del mondo: dal “suicidio collettivo” paventato dal segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres, all’“estinzione dell’umanità” prospettato dal presidente del Congo all’ammonimento di Ursula von der Leyen di non imboccare l’“autostrada per l’inferno”.
Su quel che si dovrebbe fare non dicono molto, se non quel che sarebbe auspicabile avvenisse ma non quel che è realisticamente fattibile. Viene allora in mente la fantastica frase di Woody Allen nel Discorso ai Laureandi contenuto nel suo libro Effetti collaterali (Bompiani, pag.55): “Oggi più che mai in qualsiasi altra epoca storica, l’umanità si trova a un bivio. Una strada conduce alla disperazione più assoluta; l’altra alla totale estinzione. Preghiamo il cielo che ci dia la saggezza di fare la scelta esatta”. Perché non è dando l’idea che non ci sia ormai più niente da fare, che il tempo dell’azione sia ormai scaduto e che non ci sia più alcuna speranza, che si attivano comportamenti virtuosi collettivi e individuali. Ma dicendo esattamente il contrario. Colpisce allora la decisione di Greta Thunberg di cedere il passo ad altri attivisti, preferendo riprendere a studiare per il suo futuro che i sostenitori delle fossili – disse una volta – le “volevano rubare”. Lasciando dietro di sé uno strascico di tristezza, come in Stefano Boeri che ha scritto “quanto ci manca la voce stridente di Greta” (Repubblica, 8 novembre).