(Ansa) 

I numeri della nostra economia sono meno tragici di quanto si creda 

Stefano Cingolani

Incentivi, infrastrutture e Mediterraneo. L’Italia può schivare la tempesta economica perfetta, basta crederci. Chiacchierata fra addetti ai lavori

L’inflazione galoppa, la guerra infuria, il gas ci manca: si prepara per l’autunno la tempesta perfetta? Attenti ai profeti di sventura e soprattutto mai alzare bandiera bianca. L’Italia va, anche se a passo più lento; la dipendenza dal gas russo è scesa dal 40 al 25 per cento e i depositi si stanno riempiendo, se le cose procedono a questo ritmo eviteremo di passare l’inverno al freddo; i prezzi salgono, però le aziende lavorano e le banche sono solide. Insomma i fondamentali economici sono buoni e dobbiamo esserne convinti noi per primi.

 

Un invito non tanto all’ottimismo della volontà, ma a restare con i piedi per terra è venuto da Stefano Barrese, responsabile della divisione Banca dei territori, e da Gregorio De Felice, capo economista di Intesa Sanpaolo, durante una conversazione al Festival dei Sensi di Cisternino, in Puglia. Il loro timore, circa i temi economici, è che “la campagna elettorale possa lanciare messaggi fuorvianti e che vengano date informazioni parziali”. Nessuno nega le difficoltà, nubi fosche s’addensano, tuttavia la bufera può essere evitata, la crisi è gestibile. Non solo, il Pnrr è lo strumento giusto per cambiare il modello di sviluppo; quindi “va realizzato senza indugi e senza cambiamenti sostanziali”. E’ possibile, nonostante impedimenti burocratici e difficoltà operative, lo dimostra la reazione a una pandemia che ha trovato tutti impreparati.

 

​I fondamentali economici, dunque, sono buoni. “La finanza internazionale deve essere convinta che l’Italia sta in piedi su una base solida”, sottolinea Barrese. Occorre dare fiducia al paese e rassicurare i mercati internazionali”. E’ un giudizio basato sui fatti, non una petizione di principio, conferma De Felice. Questo 2022 è cominciato bene. La crescita resta superiore a quella della Germania e della Francia che si stanno fermando. Le aziende mostrano bilanci in attivo, anche i settori che hanno molto sofferto per la pandemia e oggi sentono di più la pressione dei costi, registrano performance di tutto rispetto. Il turismo si è rilanciato alla grande, anzi attraversa un boom. Il sistema bancario è sano, ha una forte base patrimoniale e continua la diminuzione dei crediti deteriorati. “Negli ultimi dieci anni le nostre banche sono state risanate senza aiuti dall’Unione europea, a differenza di altri paesi – spiega Barrese – E sono un caso virtuoso da studiare anche per il loro collegamento strutturale con l’economia reale”. 

 

​L’inflazione aggrava le diseguaglianze sociali, ricorda De Felice. E può intaccare un risparmio aumentato durante la pandemia, come dimostra l’incremento dei depositi in conto corrente. L’incertezza per il futuro spinge a tenere i soldi in contanti anche se non danno interesse, è quella che gli economisti chiamano propensione per la liquidità che induce a non consumare e non investire. Da qui, oltre che da un costo del denaro più caro, deriva il rischio della spirale perversa che dall’inflazione conduce alla recessione. Tuttavia la maggior parte dei mutui contratti in questi anni sono a tasso fisso, mentre sussidi, sostegni, detrazioni hanno protetto in media i redditi. Si può fare ancora molto per evitare l’effetto delle aspettative decrescenti o negative, con efficaci misure di politica economica. Per esempio gli incentivi tecnologici, tipo Industria 4.0, ma applicati alla riduzione della dipendenza energetica o la garanzia pubblica per i crediti alle piccole imprese e ai professionisti che, secondo Barrese, andrebbe estesa anche fino a 20 anni in modo da sostenere la liquidità delle aziende in un contesto complicato dall’inflazione e da tassi in aumento. 

 

​E qui si apre il capitolo della Grande Trasformazione. C’è la triplice transizione (digitale, ecologica, energetica). E c’è una catena del valore che diventa più corta, occasione d’oro per la seconda economia manifatturiera d’Europa. Il Mediterraneo non sarà più solo lo spazio dove rifletterci, come scriveva Fernand Braudel, ma un attore economico e geopolitico di prim’ordine. E il Mezzogiorno d’Italia, verso il quale è diretto il 40 per cento delle nuove risorse, ha una nuova chance. De Felice ricorda che insieme a Srm, il gruppo Studi e Ricerche sul Mezzogiorno collegato a Intesa Sanpaolo, è stato coniato l’acronimo “Meta”. “M” come mare, i trasporti marittimi sono un fattore chiave, l’Italia è già molto forte nella navigazione breve e può esercitare un ruolo di leadership. “E” come energia, perché proprio l’area mediterranea ha un enorme potenziale per lo sviluppo di fonti pulite. “T” come turismo, e qui occorre alzare il livello dell’offerta puntando maggiormente sulla clientela internazionale. “A” come ambiente e sostenibilità, la bioeconomia ad esempio diventa la leva del nuovo sviluppo.

 

Tutto questo richiede infrastrutture (strade, ferrovie, porti, impianti energetici, sistemi di accoglienza), quindi si potrebbe aggiungere all’acronimo una “I” maiuscola. E c’è bisogno di una dimensione che renda le aziende moderne e competitive. Anche il turismo deve superare il nanismo d’impresa trovando nuove forme organizzative attraverso fenomeni aggregativi orizzontali per evitare di regalare le nostre eccellenze e bellezze a grandi investitori o catene internazionali. Vasto progetto, certo, ma ci sono molte più risorse di quel che si dice. De Felice, in una ricerca che risale al 2019, aveva lanciato una provocazione intellettuale: se esistesse una Repubblica del sud indipendente, sarebbe l’ottava potenza manifatturiera d’Europa. “Non è una battuta paradossale, sono i dati e i fatti a dimostrarlo”, aggiunge l’economista. Il problema è che spesso non ci credono gli stessi protagonisti.

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