Serve più discrezionalità, da mettere al servizio dell’interesse pubblico preminente, ma a una condizione: avere il coraggio di adottare una norma finale che metta al riparo i dipendenti (eccetto che in caso di arricchimento personale)
Riformare la disciplina dei contratti pubblici. Ma in che direzione e per fare cosa? I pur ampi principi e criteri direttivi individuati nella legge delega approvata dal Senato e ora all’esame della Camera non sciolgono il nodo. Nonostante tante singole indicazioni anche positive nel merito manca un autentico cambiamento di paradigma. Il legislatore italiano, infatti, sembra rimanere prigioniero di un fraintendimento che perdura da oltre quindici anni: cioè che la regolamentazione europea del mercato degli appalti e delle concessioni costituisca necessariamente l’asse portante dell’intera disciplina dei contratti pubblici. Negli ultimi anni, il fraintendimento si è aggravato con l’aggiunta di un’ulteriore distorsione prospettica derivante dall’indebita sovrapposizione delle misure di prevenzione della corruzione e di tutela della legalità, di cui l’Anac si è fatta portatrice nella impropria vesta di autorità di regolazione e controllo dell’intero settore.
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