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Gli Apple store si fanno sindacato per chiedere oltre agli scivoli la flessibilità

Pietro Minto

La lotta di classe si avvicina al cuore della Silicon Valley. I dipendenti di un negozio vicino del Maryland, hanno annunciato di essersi uniti in una labor union. È la coda di una lunga scia di movimenti sindacalisti che hanno scosso gli Stati Uniti negli ultimi due anni

La lotta di classe si avvicina al cuore della Silicon Valley. Questa settimana, i dipendenti di un Apple Store vicino a Baltimora, nello stato del Maryland, hanno annunciato di essersi uniti in una labor union, l’equivalente americano di un sindacato di lavoratori. Si tratta del terzo esperimento di unione tra lavoratori che interessa Apple negli ultimi mesi.

Il gruppo di lavoratori, la “Coalition of Organized Retail Employees” (o AppleCORE), ha dichiarato di non volere “andare contro o creare conflitto” con l’azienda – che a inizio 2022 ha superato i tremila miliardi di dollari di capitalizzazione di mercato – ma, secondo il Washington Post, vuole voce in capitolo in tema di salario, turni e protocolli di sicurezza legati al Covid-19. L’organizzazione di questi dipendenti Apple è solo la coda di una lunga scia di movimenti sindacalisti che hanno scosso gli Stati Uniti negli ultimi due anni, con un livello di organizzazione – ed efficacia – che non sembra avere precedenti nella storia recente del paese. E’ un fenomeno culturale, prima ancora che politico, che ha avuto nella pandemia il suo agente catalizzatore. 

 

Negli Stati Uniti il Covid-19, oltre a causare milioni di licenziamenti, ha anche costretto milioni di lavoratori a lavorare da casa, o a riconsiderare del tutto il proprio rapporto con il lavoro. Da qui sono nati fenomeni come “The Great Resignation” (le grandi dimissioni: secondo alcune stime 47 milioni di americani avrebbero cambiato lavoro nel solo 2021) e il successo di r/antiwork. Antiwork è un subreddit, una sezione del social network Reddit, in cui gli utenti si scambiano opinioni e informazioni per cambiare vita, o chiedere e ottenere un migliore trattamento sul posto di lavoro.

Catene come Starbucks sono state tra le più interessate da questo fenomeno, con la creazione da parte dei suoi dipendenti della Starbucks Workers United, un’unione che dalla costa est degli Stati Uniti si prepara a diffondersi in tutto il paese. E poi Amazon, ovviamente, con i dipendenti dei suoi magazzini che da anni, e in tutto il mondo, denunciano le proprie condizioni di lavoro.

 

Apple, però, è diversa. O meglio, dovrebbe esserlo. Perché non sono solo i suoi lavoratori “periferici”, quelli del retail distribuiti in tutto il paese, a lamentarsi: anche i coccolatissimi impiegati della sede centrale, la navicella madre di Cupertino, in California, si stanno facendo sentire. Al centro delle loro lamentele c’è sempre la pandemia, in particolare la richiesta ufficiale da parte dell’azienda di chiudere la stagione del lavoro remoto (o “ibrido”). I lavoratori di Apple, insomma, devono tornare nei loro luminosissimi uffici immersi nel verde, ma non vogliono. Un gruppo di circa duecento dipendenti, chiamato Apple Together, ha spiegato che il piano dell’azienda, che vuole tutti in ufficio per tre giorni alla settimana, “non offre alcune forma di flessibilità”. Sono toni ben diversi dalle “union drive” che hanno portato alla sindacalizzazione di alcuni Starbucks, di un pezzo di Condé Nast (tra cui il New Yorker) e, ora, di qualche Apple Store, ma queste lamentele pubbliche sono un segnale importante. 

La Silicon Valley, di cui Apple è forse la gemma più brillante, ha cambiato il mondo del lavoro, costruendo sedi che fungono da campus, in cui i lavoratori sono viziati, spesso infantilizzati, ma pur sempre strapagati, tanto da aver sconvolto il mercato immobiliare dell’area di San Francisco. In questa valle incantata, si coltivava il sogno di un rapporto lavoratore-padrone diverso, non dialettico ma idilliaco: le persone, al lavoro, potevano cambiare il mondo, camminare in viali alberati, fare pausa pranzo in mense gratuite d’ottima qualità, senza preoccuparsi del “padrone”, il quale era una figura amica, carismatica, quasi eroica. Il founder. Erano i tempi di Steve Jobs, del primissimo Mark Zuckerberg e degli scivoli colorati nella sede di Google. Oggi quel mondo è diventato il Big Tech, potente e controverso, un padrone a cui fare richieste, anche organizzandosi con i propri colleghi.
 

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