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Oggi si decide

Lo scontro culturale dietro la sfida di Generali

Stefano Cingolani

Capitalismo famigliare contro quello manageriale, italiani contro stranieri: quella di stamattina sarà una delle assemblee più combattute della storia ultracentenaria Leone di Trieste. Gli obiettivi di Caltagirone e Mediobanca e i piani B degli schieramenti

"Quello di oggi è stato un passaggio di grande importanza", che ha visto l'assemblea dei soci di Generali esprimersi "con chiarezza e senza nessuna ambiguità a favore della lista del cda". Philippe Donnet ha esordito così dopo il voto sul rinnovo del board del Leone di Trieste che lo ha riconfermato ceo. La sua lista ha ricevuto il 55,99 per cento dei voti del capitale presente, contro il 41,73 per cento della lista di Francesco Gaetano Caltagirone

Questa scelta, ha detto rivolgendosi all'assise, "è una ulteriore testimonianza di fiducia nel nostro team di management e nel piano strategico al 2024. Ora tutti insieme tra cda, management, colleghi e agenti possiamo lavorare con determinazione e serenità nella stessa direzione e perseguire gli interessi di tutti gli stakeholder del gruppo per il successo di Generali". 

articolo aggiornato alle 12 del 29 aprile 


 

Capitalismo famigliare contro capitalismo manageriale; italiani contro stranieri; patti segreti contro mercato concorrenziale. Tante questioni di fondo si agitano attorno al capezzale del Leone di Trieste, alias Assicurazioni Generali, che oggi riunisce un’assemblea tra le più combattute della sua storia ultracentenaria. Un Leone non malato, ma a lungo addormentato in attesa di un principe azzurro? A sentirlo dire l’amministratore delegato Philippe Donnet sciorina i risultati della sua gestione: profitti, quotazione di Borsa, performance rispetto alle concorrenti, con cifre che nessuno può smentire, nemmeno gli sfidanti.

 

I quali sfidanti rappresentano una bella schiera di imprenditori e capifamiglia: Caltagirone (9,5 per cento), Del Vecchio (6,6 per cento), Benetton (3,9 per cento) e con quote minori Seragnoli, Minozzi, forse anche Lavazza, e poi la Fondazione Cassa di risparmio di Torino (1,7 per cento, con una decisione che ha diviso i soci), la Cassa forense. Sul fronte opposto Mediobanca (12,79 per cento più 4,43 per cento preso in prestito), De Agostini (1,4 per cento, in vendita le azioni, ma non i diritti di voto), il fondo sovrano norvegese (1,4 per cento), la maggior parte degli investitori istituzionali anglo-americani che verranno allo scoperto solo oggi.

 

Alla vigilia i due schieramenti possono contare entrambi su circa un quinto del capitale, decisivi saranno i fondi, che detengono il 35 per cento dei titoli, e i piccoli azionisti con il 22 per cento. L’assemblea è virtuale, i voti sono arrivati ieri e stamattina si farà la conta, anche se circolano indiscrezioni su una vittoria netta della lista Donnet (ma chissà). Chiunque prevalga, non potrà non ammettere che il Leone è sveglio anche grazie alla sfida che si è svolta non dietro le quinte, ma a scena aperta.

Il piano alternativo presentato dalla lista che fa capo a Francesco Gaetano Caltagirone e vede Claudio Costamagna candidato alla presidenza e Luciano Cirinnà amministratore delegato è “ambizioso, ma realizzabile”, così lo ha definito lo stesso Cirinnà. Il punto chiave è la crescita con una strategia di acquisizioni in Europa e fuori (Cina, America per esempio) finanziata anche ricorrendo a “un po’ di leva finanziaria”, cioè indebitandosi, ma soprattutto facendo cassa attraverso un aumento dei profitti.

Gli utili macinati dalla gestione Donnet non sono sufficienti, ha detto Costamagna, il piano del cda è “inerziale”. Contestata la strategia, ne deriva una nuova governance, qui la differenza di fondo è che gli azionisti dovranno essere rappresentati in rapporto al capitale investito per svolgere un ruolo attivo. Niente più delega totale agli amministratori, la proprietà non è un furto. Se verrà bocciato, il contro-piano resterà agli atti, tuttavia molti dei suoi contenuti non finiranno in archivio, serviranno invece alla minoranza in consiglio per incalzare la maggioranza (Alessandro Benetton si è proposto come pontiere). In ogni caso, per far crescere la taglia della compagnia bisognerà aumentare il suo capitale e i soci debbono mettere mano al portafoglio: ciò vale per la riluttante Mediobanca come per gli imprenditori che vogliono contare nella gestione delle Generali.

 

La partita però non finisce oggi, anzi molti analisti ritengono che quest’assemblea sia comunque un punto di svolta e un punto di inizio. C’è il rischio che la competizione azionaria diventi uno scontro di carte bollate. Esiste già un esposto del gruppo Caltagirone contro “il patto occulto Mediobanca e De Agostini”, c’è la querelle sulle azioni prese in prestito da Mediobanca, mentre i sindaci delle Generali hanno fatto ricorso alla Consob per gli acquisti di titoli in dicembre da parte di Caltagirone e Del Vecchio. Il messaggio che viene dall’attuale amministratore delegato è che comunque da domani si ricomincia, dal business non dai tribunali. Intanto, deve guardarsi dal piano B.

 

Il bersaglio in questo caso è Mediobanca. Se nelle Generali è stato Caltagirone a scuotere l’albero, nella banca d’affari tocca a Del Vecchio. Il patron di Luxottica ha poco meno del 20 per cento, autorizzato dalla Bce alla quale, secondo indiscrezioni, ha chiesto di crescere ancora. E’ chiaro che intende prendere il controllo. Per cambiare il management? Finora ha detto di no, ma la ruggine con l’amministratore delegato Alberto Nagel resta spessa. Per arrivare alle Generali? Circola voce che stanno alla finestra anche le grandi banche come Intesa, che nel 2017 aveva lanciato un’offerta per la compagnia, e Unicredit, che ha finanziato il suo azionista Del Vecchio. Quella di Trieste è stata una guerra di mercato chiara ed esplicita, lo sarà anche quella di Piazzetta Cuccia? Viva la competizione. 


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