L'impatto dell'embargo sul gas russo non è enorme. Ma quanto l'Europa è disposta a pagare?

Luciano Capone

Secondo diversi studi l’impatto dell’embargo su gas e petrolio russi non sarebbe così grave. Il blocco delle importazioni farebbe molto più male alla Russia che all'Europa. Fin dove vogliamo spingerci?

Un’improvvisa interruzione delle forniture energetiche dalla Russia verso la Germania produrrebbe nel 2023 una recessione del 2,2% del pil. A stimarlo i cinque principali centri studi tedeschi (Diw Berlin, Ifo Institute, IfW Kiel, Iwh e Rwi) in un report sulle prospettive economiche del paese alla luce dell’invasione dell’Ucraina. La guerra di Putin produrrà comunque un rallentamento della crescita, che sarà del 2,7% nel 2022 (rispetto al 4,8% previsto prima del conflitto) e del 3,1% nel 2023. In caso di stop dell’approvvigionamento energetico, per autoimposizione dell’Ue o per scelta del Cremlino, la crescita quest’anno rallenterebbe ulteriormente al +1,9%, mentre entrerebbe in territorio negativo nel 2023: -2,2%. La perdita cumulata di pil nel biennio dovrebbe aggirarsi intorno ai 220 miliardi di euro, pari al 6,5% del pil, accompagnata da una perdita di 400 mila posti di lavoro.

 

Non si tratta del primo studio che tenta di stimare l’impatto dell’embargo, ovvero della rinuncia, al gas e al petrolio russi. Altre stime sono più ottimistiche. Un gruppo di economisti ha previsto, sempre per la Germania, una perdita di pil tra lo 0,5 e il 3%. Secondo l’Ocse un blocco dell’import energetico dalla Russia causerebbe una riduzione del pil di 2 punti nell’Eurozona. Il Conseil d’analyse économique, organo consultivo del governo francese, è meno pessimista. In uno studio condotto da diversi economisti internazionali, la perdita di pil in caso di sospensione di import di energia dalla Russia è molto contenuta: -0,2% in Francia e -0,3% in Germania. Anche in Italia, secondo le stime del Conseil d’analyse économique, l’effetto sarebbe ridotto e dello stesso ordine di grandezza -0,3/-0,4%. Invece, secondo le stime della Banca d’Italia contenute nell’ultimo bollettino economico, in caso di un arresto delle forniture energetiche dalla Russia a partire da maggio, il pil italiano che in uno scenario ottimistico è dato in crescita del 3%, diminuirebbe dello 0,5% sia nel 2022 sia nel 2023. Si tratterebbe di un brutto colpo per l’economia ma di certo gestibile, soprattutto se affrontato con misure anche finanziarie comuni a livello Ue, e non paragonabile allo choc del Covid.

 

Naturalmente lo stop improvviso al gas e al petrolio dalla Russia è anche uno scenario senza precedenti, in cui è difficile fare previsioni precise, ed è quindi probabile che la realtà possa rivelarsi ben peggiore di come ipotizzato. Ma anche per questo ci sono strade diverse dall’embargo totale che possono essere intraprese per sanzionare la Russia e mettere sotto pressione Putin. Una proposta, lanciata subito dopo l’invasione dell’Ucraina dall’economista Ricardo Hausmann, è quella di un’elevata tassa sulle importazioni di gas e petrolio russi perché sarebbe molto punitiva per la Russia ma, a differenza dell’embargo, ridurrebbe i costi per l’Europa. L’idea di Hausmann è stata poi ripresa da altri economisti come Daniel Gros e dal Conseil d’analyse économique secondo cui con un dazio del 40% le importazioni di fonti fossili dalla Russia diminuirebbero dell’80% (con un impatto negativo più lieve sulle economie europee rispetto all’embargo totale).

 

Di stime del genere ce ne sono molte e i dati non sono granché differenti. Paradossalmente, sono molti meno gli studi che valutano l’impatto di queste sanzioni per la Russia. Per la Russia, che già subirà quest’anno la più grande recessione degli ultimi 30 anni (-11% di pil secondo la World Bank), le sanzioni energetiche sarebbero un ulteriore colpo durissimo. Perché se l’Europa dipende dalla Russia per il 36% delle importazioni di gas, la Russia dipende dall’Europa per il 71% delle esportazioni del suo gas. Per giunta l’economia russa è a sua volta notevolmente dipendente dalla vendita di idrocarburi, da cui il Cremlino ricava almeno il 45% del bilancio federale. Insomma, con le sanzioni sull’energia la Russia subirebbe un crollo del pil ben superiore al 15%, ai livelli del collasso dell’Urss.

 

La domanda di fondo che dovrebbe porsi l’Europa, sia a livello di istituzioni che di opinione pubblica, è: quanto siamo disposti a perdere per infliggere a Putin un danno maggiore che gli renda la guerra insostenibile? In base alla risposta si possono poi modulare progressivamente le sanzioni. Ma la sensazione è che per ora si voglia evitare la domanda.

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali