(foto Ansa)

la fu alitalia

Le dimissioni nel cda di Ita sono un duro avvertimento per il Mef

Redazione

Sei consiglieri di amministrazione della compagnia di bandiera hanno fatto un passo indietro. Retroscena segnalano frizioni con i vertici sui prossimi passaggi della società. E' ora che il ministero dell'Economia decida cosa vuol fare

Sei consiglieri d’amministrazione su nove di Ita Airways, la mini compagnia aerea sorta sulle ceneri di Alitalia che il Tesoro si è impegnato a privatizzare, si sono dimessi con una lettera recapitata oggi. Sono Lelio Fornabaio, Alessandra Fratini, Simonetta Giordani, Cristina Girelli, Silvio Martuccelli e Angelo Piazza. Restano il presidente Alfredo Altavilla, l’ad Fabio Lazzerini e la consigliera Frances Ouseley.  I dimissionari erano stati scelti dal governo Conte II nel 2020, oltre tre mesi dopo l’annuncio via social della scelta dei vertici (Lazzerini ad e Caio presidente). Esistono come sempre due versioni: quella minimalista sostiene, come scrivono i sei, che avendo il Cda “svolto tutti i compiti, raggiunto tutti gli obiettivi e votato tutte le delibere” è logico sgombrare le scrivanie. La versione retroscenista segnala frizioni con i vertici sui prossimi passaggi, in particolare sugli advisor scelti per la privatizzazione (JpMorgan e Mediobanca per la parte finanziaria e Grande Stevens e Sullivan & Cromwell per quella legale).

Dal momento che anche il Tesoro ha indicato i suoi advisor (Equita per la parte finanziaria e Gianni & Origoni per quella legale) e che gestirà direttamente l’iter, ci si sarebbe chiesto se non sia il caso di congedare gli advisor Ita anche per evitare contestazioni della Corte dei Conti. Nel frattempo il fronte che aveva puntato sul mantenimento della compagnia di bandiera, cioè Fdi e i malpancisti a M5s  sentono il richiamo della foresta, e così Fabio Rampelli (FdI) tuona contro Altavilla “il più nocivo, che non si dimette per cancellare la nostra sovranità aerea”. Si potrebbe risolverla con un’alzata di spalle se la privatizzazione  fosse davvero a un passo. Ma purtroppo non è così. Sul tavolo del Tesoro ci sono quattro opzioni: la cordata  Msc-Lufthansa; il fondo Indigo Partners; il fondo Certares in partnership con gli storici alleati Air France-Klm e Delta; il proseguimento in solitaria di Ita. Tra le quinte si agitano  partiti e sindacati che ancora sognano la vecchia Alitalia e  preferirebbero la sua rinascita o, in subordine, la partnership con Air France-Klm, di cui conoscono prassi e dirigenti. Gli esperti sostengono che se Ita non trova entro l’estate un compratore solido rischia, tra aumento dei prezzi del greggio, strascichi di guerra e possibile reinsorgenza del covid, perdite di tre-quattro milioni al giorno. Ancora sulle spalle dei contribuenti. 

Senza girarci intorno, è ora che il Mef, dunque il ministro Daniele Franco, spieghi chiaramente cosa vuol fare. Come per le altre  privatizzazioni promesse ma sempre nel guado: il Mps e Tim. Fatte le differenze  i  dossier hanno molto in comune. Dal nazionalismo industriale  all’unicità aziendale come alibi per non ridurre costi e personale. Ma anche la scarsa determinazione del Mef ad agire sulla strada maestra di privatizzazioni. Franco, che è  stato vicinissimo a Mario Draghi sin dai tempi della Banca d’Italia, e che nel 2018 da Ragioniere generale dello Stato esercitò molto soft power contro il programma leghista-grillino, ha perso la sua verve irritando Palazzo Chigi? A lui smentirlo.

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