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l'accoglienza

Per aiutare i profughi ucraini dovremmo accettare la loro valuta

Giorgio Arfaras

Chi fugge dalla guerra lascia le proprie ricchezze immobili, ma cosa accade alle quelle mobili? La moneta ucraina, la hryvnia, ha perso valore. Le banche centrali possono scegliere intervenire 

I profughi ucraini sono più di due milioni e questa tragedia è stata affrontata finora con un grande aiuto, come un dono da parte di chi ha avuto fortuna a chi non ne ha avuta per niente. Come “dono” e non come “scambio”, che si avrebbe se gli ucraini fuggiti potessero usare, poca o molta che sia, la loro ricchezza senza dipendere dagli aiuti in forma gratuita. I profughi possono essere definiti come degli espropriati di fatto se non, almeno per qualche tempo, di diritto. Lasciano le loro case e le loro proprietà, cioè le ricchezze immobili che restano nelle mani dell’occupante. Che cosa, invece, accade alle ricchezze mobili, come i conti bancari, le carte di credito, i contanti? La moneta, sia che abbia una forma materiale o sia una scrittura elettronica, è una riserva di valore, un mezzo di scambio, un’unità di conto. Questo vale in pace, ma in guerra, se si è dei profughi, le cose non sono messe così. 


Giunti in Polonia gli ucraini hanno trovato cibo e pannolini in forma gratuita, il dono di cui si diceva, ma non hanno avuto alcuna possibilità di scambiare in maniera soddisfacente la loro moneta, la hryvnia, con quella polacca, lo zloty, lo scambio e non il dono di cui si diceva. Ciò crea una asimmetria, il dono è, infatti, “unidirezionale”, lo scambio è, invece, “reciproco”. Come si è giunti a tanto? 


Come effetto dell’invasione, l’Ucraina ha sospeso gran parte degli scambi di valuta, tranne quelli volti a finanziare la guerra. Gli scambi extra bellici hanno un cambio ufficiale simile a quello ante aggressione, e quindi per nulla credibile. Prima della guerra con sette hryvnia si otteneva uno zloty, adesso ne servono venti. E se anche un ucraino fosse disposto a pagare venti hryvnia per uno zloty, deve avere i contanti, perché il suo bancomat non funziona più.


Si potrebbe concludere che per non impoverire troppo e ingiustamente gli ucraini in fuga la Banca centrale polacca e quella europea potrebbero cambiare hryvnia ai valori ante guerra, o, almeno con un cambio non troppo penalizzante, e quindi rendere meno pesante il dono e più importante lo scambio. Ed è ciò che sta accadendo. La Banca centrale polacca attraverso una banca di credito ordinario da lei controllata è intenzionata a cambiare la moneta ucraina con quella polacca senza troppo infierire. Così la Polonia si troverà con tanta moneta ucraina di dubbio o alcun valore. E’ però possibile che uno o più enti internazionali assorbano le perdite polacche, così dividendole fra i molti paesi che si mostrano solidali. 


Christine Lagarde, governatrice della Bce, sta cercando una soluzione per aiutare gli ucraini rifugiati che non possono usare, se non in maniera rovinosa, la propria moneta. L’aiuto consisterebbe nel cambiare la loro moneta in euro senza troppo penalizzarla. Il punto dolente dell’aiuto è proprio questo: sostenere il cambio della moneta ucraina per aiutare i rifugiati potrebbe portare a delle non modeste perdite di bilancio per effetto di una moneta ucraina che non si riprende per molto tempo. Ma si potrebbe controbattere dicendo che siamo in un contesto eccezionale dove le regole rigide del bilancio della Banca centrale non dovrebbero valere. La domanda cruciale e pratica è allora con quale tasso di cambio impostare la conversione. Se si vogliono assistere i profughi, il tasso di cambio deve essere migliore di quello attualmente offerto dal mercato nero. Quindi le maggiori perdite che si avrebbero se, finita la guerra, la moneta ucraina tornasse a valere molto poco, saranno a carico della Banca centrale. Ne vale la pena? La scelta è tutta politica.
 

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