Rifugiati ucraini a Medyka, Polonia, al confine con l'Ucraina (LaPresse)

la strana spartizione

Tra i timori per i  rifugiati, in Polonia fioriscono teorie strampalate

Francesco Cataluccio

Molti sono convinti che la destra sfrutterà il malcontento e il disagio, che cresceranno quando la straordinaria ondata di solidarietà andrà affievolendosi. Come spesso accade, il terreno del disagio sociale viene concimato dal diffondersi di idee complottiste che mettono assieme elementi reali a un frullato di congetture malevole

Chi raccoglierà le fragole e gli asparagi quest’anno?, si chiede perplesso l’ortolano col banchetto di primizie dietro Plac Konstytucji. Fino all’anno scorso, in Polonia, lo facevano gli stagionali ucraini: “Ma ora sono in guerra e quelli che son fuggiti qua non hanno più il vantaggio di poter cambiare e spendere i soldi guadagnati nelle campagne polacche a casa propria. Vivendo qui con la raccolta delle fragole e degli asparagi non si campa. Per questo non si trovano polacchi, anche molto giovani, disposti a farlo”. Col passare dei giorni le preoccupazioni polacche vanno aumentando: “Riusciremo a gestire due milioni di ucraini?”; “i 90 mila bambini rifugiati a Varsavia potranno avere una scuola decente?”; “il lavoro nero, che molti ucraini accetteranno pur di guadagnare qualcosa, non andrà a togliere diritti e posti di lavoro ai polacchi?” 

 

Molti sono convinti che la destra sfrutterà il malcontento e il disagio, che cresceranno quando la straordinaria ondata di solidarietà polacca andrà affievolendosi. Come spesso accade, il terreno del malcontento e del disagio sociale vengono concimati dal diffondersi di teorie del complotto che mettono assieme elementi reali a un frullato di congetture malevole. Gira per la Polonia una “teoria” in particolare, che trova consensi perché fa leva su sentimenti e rivendicazioni antiucraine che si erano sopite solo per un attimo. Tutti i popoli dell’Europa centrale hanno purtroppo dei conti in sospeso gli uni con gli altri: conti che hanno a che fare con rivendicazionii territoriali e nazionalistiche inestirpabili (che spiegano anche la guerra attualmente in corso) e odi per torti e massacri reciprocamente subiti. 

 

Il corpulento avvocato Roman Giertych (1971), parlamentare della destra dal 2001 al 2007, ex vicepremier e ministro dell’Istruzione fino all’agosto 2007 e attualmente presidente del partito Lega delle Famiglie polacche” (Lpr), si è fatto portavoce di una teoria del complotto, diffusa attraverso una martellante campagna sui social, ripresa da alcuni giornali scandalistici e ribadita con convinzione da tutti i tassisti con i quali ho avuto a che fare in questi giorni. Secondo questa ricostruzione degli avvenimenti correnti, l’attacco della Russia all’Ucraina avrebbe avuto alle spalle un accordo, tra Vladimir Putin, Viktor Orbán e Jaroslaw Kaczynski, per spartirsi quel paese. Accordo andato in crisi perché nessuno poteva prevedere la forte resistenza degli ucraini e la decisa risposta dell’occidente. Giertych ha ricordato che, undici anni fa, durante un incontro organizzato in Vaticano dal cardinale di Vienna, ebbe occasione di parlare a lungo col da poco eletto premier ungherese Orbán. Già allora Orbán espresse la necessità di costruire un’alternativa all’Europa guardando alla Russia e soprattutto alla Cina, e non nascose la sua ostilità verso l’Ucraina. Orbán è il politico europeo più vicino a Putin e, secondo Giertych, sapendo che da otto anni la Russia stava preparando l’invasione dell’Ucraina, avrebbe pensato di trarne vantaggio per rafforzare territorialmente l’Ungheria, andandosi a riprendere quel pezzetto di Ucraina, sotto i Carpazi, dove vive una minoranza ungherese (molti dei quali stanno fuggendo in queste settimane a Budapest).

 

Otto anni anni fa, scherzando, Putin aveva proposto all’allora premier polacco Donald Tusk e al ministro Radoslaw Sikorski la parte occidentale dell’Ucraina. Alla Russia non interesserebbe, i suoi fanatici nazionalisti non la considerano nemmeno Ucraina: prima era parte dell’Impero austrungarico (la Galizia orientale con capitale Leopoli), e poi fino al 1939 era Polonia, e ci sono ancora molti che parlano polacco. Anche per la Polonia, secondo questa contorta ricostruzione, ci sarebbe stato un vantaggio dal conflitto: intervenire a un certo punto per “salvare dai russi” (col consenso dei russi!) la parte occidentale. In realtà, quella zona è per i russi ancora più difficile da conquistare e mantenere sotto controllo: da lì intanto arrivano tutti i rinforzi attraverso il confine polacco. Inoltre Putin e i suoi consiglieri non avrebbero mai immaginato che i russofoni a oriente si sarebbero così strenuamente opposti all’“esercito liberatore e de-nazificatore” (ho avuto occasione di parlare con diversi profughi ucraini russofoni che, pur ammettendo vari episodi di discriminazioni, hanno detto che mai vorrebbero stare sotto la Russia).

 

Secondo Giertych, nell’incontro del 4 dicembre 2021 a Varsavia, al quale parteciparono anche Marine Le Pen e il leader del partito spagnolo Vox, Santiago Abascal (ma non Matteo Salvini e Giorgia Meloni), Orbán e Kaczynski avrebbero discusso del futuro destino dell’Ucraina (così come il 29 gennaio, a Madrid, lo avrebbero fatto Orbán e il premier polacco Mateusz Morawiecki e poi Orbán volò a Mosca per incontrare Putin). Difficile credere che le cose siano andate veramente così e che il PIS, il partito al governo in Polonia, possa aver anche solo immaginato qualcosa del genere. Lo storico Adam Michnik sostiene che questa popolare quanto strampalata teoria faccia parte della campagna nazionalista di Giertych contro Kaczynski (tradizionalmente tutt’altro che filorusso), e che vada anzi apprezzato il viaggio, il 15 marzo, a Kyiv del premier Morawiecki e Kaczynski con i premier della Repubblica ceca, Petr Fiala, e della Slovenia, Janez Jansa. Viaggio fatto anche per uso interno: Kaczynski, accompagnando Morawiecki, ha mostrato di essere dalla sua parte nel conflitto con il leader della destra più antieuropeista, Polonia solidale, l’attuale ministro della Giustizia, Zbigniew Ziobro. Questa guerra, in realtà, sta riavvicinando un po’ la Polonia all’Europa, mentre l’ungherese Orbán se ne allontana sempre più. 
 

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