Come nasce e come si cura l'inflazione da offerta. Parla l'economista Trezzi

Mariarosaria Marchesano

Il Global supply chain pressure index creato dalla Fed fotografa i colli di bottiglia che causano rallentamenti nei processi produttivi

A gennaio la Fed ha lanciato il Global supply chain pressure index (Gscpi). Questo indice sintetico fotografa i colli di bottiglia che causano rallentamenti nei processi produttivi e che vengono identificati come una delle cause dell’aumento dei prezzi. “È uno strumento che ci consente di comprendere come nasce l’inflazione da offerta che ha colpito l’Europa e che la Bce sta facendo così tanta fatica a gestire – dice al Foglio Riccardo Trezzi, economista (università di Ginevra) con esperienze alla Fed e alla Bce – Le interruzioni della supply chain si sono affievolite a febbraio rispetto al picco di dicembre 2021, ma sono rimaste a livelli storicamente elevati e che, con le attuali tensioni geopolitiche, possono aumentare nel prossimo futuro”.

   

Il fatto che la Fed abbia creato un simile strumento dimostra che la catena globale ha assunto la capacità di influenzare la politica monetaria. Le sue inefficienze, infatti, si riflettono nella dinamica dei prezzi, ma l’impatto non è uguale per tutti. “Se si osservano le diverse macro-aree, l’Europa è la regione più colpita mentre gli Stati Uniti lo sono in misura minore. Questo ha contribuito a generare due diversi tipi di inflazione che influenzano in modo diverso le valutazioni delle due banche centrali”. Negli Usa l’inflazione ha superato il 7 per cento a febbraio, ricorda Trezzi, ma è dovuta al boom economico post-pandemico che è andato anche oltre le aspettative. I prezzi, infatti, sono spinti quasi esclusivamente dalla crescita della domanda e dal livello dei salari.

   

“L’America sta vivendo una fase di surriscaldamento dell’economia ed è normale che la Fed si prepari ad alzare i tassi. Ma se la Bce facesse lo stesso in Europa rischierebbe di uccidere la domanda in un contesto di ripresa  che è ancora al di sotto del  potenziale.  Qui l’inflazione, sebbene sfiori  il 6 per cento, è determinata soprattutto dal lato dell’offerta, con rincari energetici che si sono amplificati per effetto della guerra russo-ucraina. Ma l’inflazione di fondo è ancora al 2,7 per cento, poco sopra il target  della Bce. Per questo capisco il dilemma di chi deve decidere la politica monetaria”.

  

Ma è corretto il paragone con gli anni Settanta? “È naturale fare il parallelo con uno scenario di stagflazione che abbiamo già vissuto, ma oggi abbiamo più esperienza di allora. Sappiamo, per esempio, che la decisione di restringere in modo graduale e moderato la politica monetaria, ipotesi che non mi trova contrario, deve essere accompagnata da una politica fiscale espansiva che possa  compensare la compressione dei consumi che si verifica quando si aumentano i tassi d’interesse. Famiglie e imprese vanno aiutate perché altrimenti rischiano di subire un doppio impatto,  quello della diminuzione del potere d’acquisto dovuto all’inflazione e quello recessivo che può seguire all’aumento del costo del denaro”. Si deve ancora aumentare il debito? “Non vedo altra scelta per superare quest’impasse – conclude Trezzi – L’alternativa è che la Bce e la Fed prendano due strade opposte, ma questo contribuirebbe ad aumentare la frammentazione tra aree economiche”. 
 

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