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L'insostenibile pesantezza dell'Inpgi è una lezione sulle pensioni

Giuliano Cazzola

Da un lato l’Inps è uno tra gli istituti più grandi d'Europa per dimensioni e compiti. Dall’altro, la gestione della previdenza liberi professionisti è balcanizzata in fondi e casse ancora, ma per poco, in equilibrio. Non sarebbe il caso di pensare a un Inps per le libere professioni?

La reticenza con cui il mondo dell’informazione ha gestito i propri problemi previdenziali non è venuta meno nel momento in cui il governo, nella legge di bilancio, ha rotto gli indugi e ha deciso l’incorporazione dell’Inpgi (la storica cassa dei giornalisti intestata a Giovanni Amendola) nell’Inps, limitatamente alla parte che gestisce i trattamenti obbligatori, mentre resta escluso l’Inpgi 2, ovvero la gestione separata alla quale sono iscritti i pubblicisti e i giornalisti titolari di rapporto autonomo o precario. 


La sopravvivenza di una parte dell’Inpgi richiederebbe qualche chiarimento, non fosse perché nulla avrebbe vietato il medesimo trasferimento all’Istituto di via Ciro il Grande a fare compagnia alla corrispondente gestione separata dell’Inps, che è rimasta la sola gallina dalle uova d’oro della previdenza obbligatoria. In più ci sarebbe un motivo pratico di non poco conto, essendo l’Inpgi 2 in attivo, poiché, come la sorella maggiore dell’Inps, non è ancora arrivata al momento in cui gli iscritti cominciano a riscuotere le prestazioni. Per quanto siano modeste le entrate contributive di quei figli di un dio minore iscritti alla gestione separata dei giornalisti/pubblicisti, risultano più limitate – sia per il numero che per l’ammontare degli assegni – le uscite. 


Ma nell’intervista a Luciano Capone, Tito Boeri, già presidente dell’Inps, ha indicato gli aspetti discutibili dell’operazione contenuta nella legge di bilancio, che, al di là di ogni altra considerazione di carattere tecnico riguardanti le “regole di ingaggio” in vigore nell’Inps, evidenzia – per le caratteristiche di quel particolare mercato del lavoro – la vistosa differenza tra anziani e giovani, tra pensionati di oggi e quelli che lo diventeranno domani, senza che vi sia stata in generale un’attitudine a praticare, come in altri ordinamenti, contributi di solidarietà. Che questo fosse il destino dell’Inpgi lo si sapeva da tempo, ma la linea Maginot della Fnsi (il sindacato che riceve un sostanziale contributo finanziario dall’Inpgi) aveva sempre resistito mettendo in campo il potere dell’informazione che, in tante altre circostanze, non ha esitato a condannare alla gogna altri presunti privilegi. 


Fu l’Inpgi (insieme all’Inpdai a cui erano iscritti i dirigenti dell’industria) a tirare la volata, ai tempi del governo Ciampi, per avviare il processo di “privatizzazione” ovvero di autogestione vigilata della previdenza obbligatoria delle categorie libere professionali pur essendo, in quel particolare regime, la sola gestione del lavoro dipendente. Poi, evidentemente, più che il “dolore” ha potuto il “digiuno”. Ma non è una resa senza condizioni: come ha dimostrato Boeri, non solo i pensionati ma anche i giornalisti prossimi alla quiescenza si porteranno appresso le loro regole generose fino al 30 giugno 2022, quando passeranno all’Inps. L’Inpgi è inoltre il primo istituto “privatizzato” che presenta situazioni di squilibrio insostenibili. Quando nel 1994 (dlgs n.509) fu istituito questo regime “ornitorinco” si sbandierò, da parte degli interessati, che una volta usciti dalla mano pubblica non ci sarebbe stata possibilità di rientro a Canossa. Tanto che le norme prevedevano un percorso di commissariamento governativo che, in caso di insuccesso, si sarebbe concluso con la liquidazione. Invece, è arrivato il “soccorso rosso” dell’Inps. 


Da questa operazione giunge un avvertimento a prendere in considerazione una riorganizzazione del sistema pensionistico. E’ in campo, da un lato, un Istituto – l’Inps – che per dimensioni e compiti (non solo attinenti alle pensioni e alla previdenza minore) si colloca tra i più grandi in Europa e forse anche nel mondo, dopo aver incorporato tutti gli altri enti previdenziali, eccezion fatta per l’Inail. Dall’altro, la gestione della previdenza e l’assistenza dei liberi professionisti è “balcanizzata” in una ventina di Fondi e Casse che sono in equilibrio grazie un rapporto ancora positivo, ma in via di logoramento, tra iscritti e pensionati. Nel loro futuro prossimo, nonostante le riforme attuate con criteri più rigorosi dell’Inpgi, è presente la prospettiva della crisi, perché quando le platee interessate sono ristrette e quanti entrano lo fanno in condizioni occupazionali e retributive peggiori di quelle godute da chi esce, prima poi il rapporto “ virtuoso” si ribalta. 


Anziché attendere che una Cassa dopo l’altra vada a ripararsi sotto l’ombrello dell’Inps (ossia dello stato) forse sarebbe il caso di porsi il problema di un “Inps delle libere professioni”, in una logica di solidarietà tra le diverse categorie.

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