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Perché è giusto lasciare una porta aperta al nucleare

Lorenzo Borga

Molti paesi stanno studiando le tecnologie “pulite” di quarta generazione. Il ministro Cingolani ha ragione

La scorsa settimana ha fatto molto discutere una frase del ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani secondo cui gli “ambientalisti radical chic e oltranzisti” sarebbero “peggio della catastrofe climatica verso la quale andiamo sparati, e parte del problema”. Una frase che andrebbe quantomeno argomentata e comunque in parte discutibile: si può certamente affermare che il metodo degli estremisti, come i gruppi Extinction Rebellion, non sia efficace né condivisibile. Ma ritenere che siano peggio dello stesso cambiamento climatico, che può portare a stravolgere i nostri stili di vita e a distruggere interi ecosistemi come li conosciamo oggi, ecco, è un po’ una forzatura.


Ma Cingolani ha probabilmente ragione in una seconda affermazione, che se non fosse stata per la prima sugli ambientalisti avrebbe acceso ben più polemiche. Il ministro si è detto infatti aperto a investire sul nucleare nel caso le ricerche su alcune nuove tecnologie avessero successo. “Si stanno affacciando tecnologie di quarta generazione, senza uranio arricchito e acqua pesante”, ha detto Cingolani: “Ci sono paesi che stanno investendo su questa tecnologia, non è matura, ma è prossima a essere matura. Se a un certo momento si verifica che i chili di rifiuto radioattivo sono pochissimi, la sicurezza elevata e il costo basso è da folli non considerare questa tecnologia”. Una frase che ha scatenato le reazioni di Greenpeace e dei Verdi italiani, e pure dei Cinque stelle che hanno chiesto un chiarimento al responsabile del dicastero la cui esistenza avevano posto come condizione per entrare al governo.


La quarta generazione di impianti nucleari è la speranza di molti paesi che stanno investendo in ricerca per riuscire a ottenere energia elettrica in modo più efficiente e abbattendo i rischi. L’agenzia nucleare americana ha individuato in particolare tre tecnologiche che potrebbero debuttare entro il 2030: il reattore nucleare veloce al sodio (Sfr), che utilizza – appunto – il sodio come fluido refrigerante al posto dell’acqua, potendo così operare a temperature più alte e pressioni più ridotte. La seconda opzione sono i reattori a temperatura molto alta, raffreddati a gas. E infine i reattori a sali fusi, in cui il refrigerante primario è un miscuglio di sale fuso. Tecnologie a cui lavora anche il Generation IV International Forum (Gif), composto da 14 stati, tra cui Francia, Unione Europea, Stati Uniti e Regno Unito. Novità interessanti arrivano anche dal fronte della miniaturizzazione. Gli Small Modular Reactors (Smr) sono reattori di piccola taglia con una capacità pari a sostanzialmente un terzo di una centrale di larga scala tradizionale. Il loro punto di forza sta proprio nella dimensione ridotta, pari all’1 per cento rispetto a un reattore convenzionale. Come descrive il think tank Tortuga in un report dedicato, questa caratteristica permette di fabbricarli in modo standardizzato e modulare, rendendone più efficiente la produzione grazie alle economie di scala. Gli Smr sono inoltre flessibili e possono essere utilizzati come fonti di energia per luoghi isolati, o – all’opposto – essere accumulati in serie per fornire la stessa quantità di energia che produce oggi una centrale convenzionale.


Insomma, i presupposti per lasciare aperta una porta al nucleare ci sono. Ricordiamo che lo stesso Ipcc, l’agenzia delle Nazioni Unite che pubblica gli allarmanti report sull’evoluzione del cambiamento climatico, classifica l’energia nucleare tra le fonti a basso impatto climatico e il suo impiego è diffuso nella gran parte delle strategie proposte per limitare l’aumento della temperatura a 1,5 gradi Celsius. La crescita del nucleare è dunque ritenuta essenziale da molti scienziati per sostituire le fonti di energia più inquinanti, come carbone e petrolio, accompagnando lo sviluppo delle fonti rinnovabili. Anche diversi ambientalisti ne sono convinti: in una raccolta di lettere al New York Times, tra cui è presente pure un intervento di Greta Thunberg, si cita proprio la quarta generazione dei reattori come soluzione per uscire dall’impasse.


Le reazioni all’uscita di Cingolani dunque non sono molto comprensibili. La porta all’innovazione va sempre tenuta aperta, soprattutto se i buoni presupposti ci sono. Ma l’Italia, e anche l’Unione Europea, devono decidere il da farsi. In Francia il presidente Macron, grande sostenitore dell’atomo, non ha più assunto una presa di posizione decisa sul tema. Mentre l’Italia sta valutando se inserire in corsa nel Pnrr un finanziamento anche alla ricerca sul nucleare: siamo in attesa di una decisione dell’Unione Europea per capire se il nucleare può rientrare nella definizione di energie rinnovabili, ha detto proprio Cingolani lo scorso maggio.
 

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