La diversa sorte del “bonus Renzi” e della “flat tax di Salvini" nella riforma fiscale

Luciano Capone

Il bonus 80 euro verrà assorbito mentre il più distorsivo regime forfetario sugli autonomi non verrà toccato. Ma c'è un motivo se nel bilancio pubblico le cose pessime resistono più di quelle cattive

Le commissioni Finanze riunite hanno approvato un documento sulla riforma fiscale. E’ stato un lungo lavoro, approvato a larga maggioranza, che per salvare il compromesso politico è rimasto sul vago su molti aspetti determinanti (in particolare il reperimento delle risorse). In ogni caso, la mediazione raggiunta fissa alcuni paletti entro i quali dovrà essere definita la riforma. L’obiettivo principale è disegnare un sistema fiscale che favorisca la crescita economica, che in Italia è strutturalmente più bassa alla media dell’area euro di circa 1 punto percentuale ogni anno. A questo scopo, si propongono delle linee di intervento per: abbassare le tasse; semplificare; eliminare le distorsioni, almeno le più significative. Quest’ultimo punto è uno dei più importanti, perché le distorsioni del sistema fiscale non sono nate per caso, ma per una precisa volontà politica di chi intendeva agevolare specifici gruppi elettorali. Ma come si sono mossi i partiti? Hanno preso coscienza della necessità di eliminare o aggiustare le inefficienze (regimi speciali, bonus, spese fiscali, etc.) che loro stessi hanno introdotto in passato?

 

L’effetto di queste misure si manifesta soprattutto nell’andamento delle aliquote marginali effettive, che rappresentano la percentuale di imposta da versare su ogni euro percepito in più, considerando anche guadagni o perdite di benefici fiscali. In Italia queste aliquote hanno un andamento un po’ pazzoide, salgono e scendono improvvisamente per effetto di trasferimenti e bonus che scattano e terminano entro determinate soglie di reddito. In alcuni casi l’aliquota marginale supera il 100%: all’aumentare del reddito lordo, quello effettivo resta uguale o addirittura diminuisce. Ed è un problema, perché aliquote marginali elevate, soprattutto per redditi più bassi, diventano un disincentivo al lavoro, in un paese in cui la partecipazione (in particolare femminile) è già molto bassa.

 

Uno dei casi emblematici è il “bonus Renzi” (una volta da 80 euro, ora da 100) che, azzerandosi rapidamente, porta l’aliquota marginale effettiva al 60% oltre i 35 mila euro di reddito. La cosa positiva è che la commissione intende eliminare queste storture, rendendo aliquote marginali più “dolci” e omogenee. Serviranno risorse addizionali per non peggiorare la condizione dei beneficiari, ma si può fare. C’è però un’altra distorsione, ancora più grande, che non verrà toccata. E’ la cosiddetta “flat tax per gli autonomi”, voluta da Matteo Salvini con il governo Conte I. Si tratta del regime forfetario per le partite Iva con ricavi fino a 65 mila euro, a cui viene applicata un’aliquota del 15% (il 5% per i primi 5 anni). Oltre all’aliquota di vantaggio, a questi soggetti non si applicano Irap, Iva e addizionali Irpef. Questo regime presenta due grossi problemi. In primo luogo è molto distorsivo: è di fatto un incentivo a restare piccoli, quindi a evadere o non lavorare, dato che il superamento della soglia di 65 mila euro produce un cambio di regime fiscale e un pesante aggravio. Il secondo problema è di equità orizzontale: chi usufruisce del forfetario, a parità di reddito percepito, paga molte meno tasse rispetto a un lavoratore a cui si applica l’Irpef (il forfettario implica un risparmio di imposta di 5 mila euro per un reddito lordo di 40 mila euro e di 10 mila euro per un reddito di 60 mila euro). Nel documento elaborato dalla Commissione e approvato dalla maggioranza è previsto un astruso meccanismo per superare il disincentivo alla crescita dei ricavi, ma non si fa nulla riportare almeno una parte del regime forfetario sotto l’Irpef eliminando così un privilegio ingiustificato.

 

E perché il bonus di Renzi verrà assorbito mentre la “flat tax” di Salvini non verrà toccata? Si può pensare che la risposta sia nel diverso peso politico dei due partiti, ma il motivo è un altro. Il “bonus 80 euro” ha dei grossi difetti dovuti al fatto che Renzi lo volesse visibile in busta paga, ma essendo contenuto presenta margini per un suo assorbimento. La flat tax di Salvini, invece, è molto più generosa e distorsiva e, proprio questo, rende difficile un suo superamento. Perché è politicamente impossibile togliere un beneficio così grande a milioni di autonomi ed economicamente insostenibile garantire il medesimo trattamento a tutti gli altri. Un meccanismo analogo si manifesterà con la fine di Quota 100: una misura disegnata così male che, oltre a essere molto costosa, produce alla sua scadenza un enorme scalone che pone le basi per un’altra simil-Quota 100.

 

E’ così che nel bilancio pubblico le cose pessime durano più di quelle cattive. Ed è, purtroppo, un grande insegnamento per i politici spregiudicati che vogliono raccogliere e consolidare consensi distribuendo soldi pubblici: se devi dare un bonus, dallo grosso!

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali