"Se avessimo fatto tutto come gli Agnelli, avremmo potuto stare ancora insieme", ha detto Matteo Marzotto (Nella foto LaPresse Gianni Agnelli)

Ricchi e infelici

Stefano Cingolani

Dai Murdoch ai Benetton, dai Del Vecchio ai Marzotto, passando per i reali Agnelli. Il capitalismo afflitto dalle liti di famiglia

Tutte le famiglie infelici, sono infelici allo stesso modo, al contrario di quel che sosteneva Lev Tolstoj. Forse la sua teoria vale solo per l’aristocrazia che il conte, buon soldato e impareggiabile scrittore, ha scandagliato come nessun altro. Forse le regole borghesi sono diverse. O forse l’umanità, tra mogli e amanti, figli e nipoti, proprietà e successione, ripete sempre se stessa in epoche per quanto lontane, sotto ogni cielo, in ogni continente, in ogni classe sociale; non c’è ricchezza, intelligenza, libertà che possano spezzare questa catena pavloviana. Prendiamo Rupert Murdoch. Chi potrebbe essere più felice dell’uomo che dalla remota Australia ha conquistato Londra, New York, il mondo intero? Figlio d’arte, ha trasformato il gruppo editoriale del padre in un impero sul quale non tramonta mai il sole. Oggi però la News Corporation è una impallidita immagine del rutilante passato. Quando la Disney nel 2019 si è divorata la Century Fox non ha lasciato nemmeno un posto sullo strapuntino a James Murdoch, che aveva guidato lo storico studio hollywoodiano. Il patriarca Rupert ha incassato un bel po’ di quattrini, ma di fatto ha tirato i temi in barca. Certo, con il Wall Street Journal, il Times di Londra, gli altri giornali negli Stati Uniti e in Australia, più la rete televisiva Fox, capitalizza ancora 15 miliardi di dollari, ma valeva quasi 50 miliardi nel 2012 prima che gli scandali scoppiati in Inghilterra al tabloid News of the World (spionaggio, ricatti, hackeraggio contro i concorrenti e personaggi pubblici) spingessero gli azionisti a imporre una divisione del gruppo.

 

Con il tempo tutto appassisce tranne i sogni di gioventù e Rupert a 84 anni conquista Jerry Hall, la top model più desiderata nel decennio rockettaro, già consorte di Mick Jagger e di Bryan Ferry. Quattro mogli, sei figli (per ora) e una eredità contesa. I maggiori grattacapi sono sempre venuti da James, quando era alla guida di Sky, poi alla Century Fox fino all’addio dell’anno scorso, una freudiana rivolta tinta di politica. A differenza dal fratello Lachlan ha sempre mostrato inclinazioni eterodosse, sia pur moderate, ambientalista, ma non troppo, liberal senza esagerare, ma quando il padre padrone ha continuato a sostenere Donald Trump sfidando persino il buon senso, non ha retto e l’ultima pagliuzza ha spaccato la schiena del cammello, come dicono gli inglesi. Anche in Italia c’è un magnate avanti negli anni con mogli, figli e affari in via di sistemazione: nonostante le ovvie differenze, tra Leonardo Del Vecchio e Rupert Murdoch le assonanze restano notevoli. Luxottica non è stata divisa, ma è stata venduta o meglio ha trovato un buon partito con il quale accasarsi. Dopo un lungo braccio di ferro con i soci francesi, ha imposto al vertice un manager italiano, Francesco Milleri, il vicino di casa diventato da fornitore capo azienda, con una irresistibile ascesa soprattutto negli ultimi anni. E tuttavia le prime ombre coprono anche la celebrata Essilux.

 

Colpa della pandemia, non c’è dubbio, in ogni caso la creatura nata dal re delle montature e dalla regina delle lenti ha perso un miliardo di euro: i ricavi hanno chiuso il 2020 a 14,49 miliardi di euro (meno 15 per cento); i profitti sono crollati addirittura del 92 per cento, appena 85 milioni rispetto al miliardo e passa del 2019. In attesa che passi la nottata, Del Vecchio non si ferma: Essilux spende 7 miliardi di euro per comprare la catena di negozi GrandVision, lui personalmente compra azioni Mediobanca (può salire fino al 20 per cento) e si consolida nelle Assicurazioni Generali. Quanto alla successione, ha incoronato Nicoletta Zampillo, l’ultima moglie e Milleri. Negli anni 90 il gruppo era controllato da due finanziarie: la Leonardo che faceva capo al fondatore e deteneva il 56 per cento delle azioni e la Delfin, con il 15 per cento, nelle mani del delfino (nomen omen), cioè il primogenito Claudio con il quale si è consumata la rottura vent’anni fa. “I figli debbono restare fuori dall’azienda perché non si possono licenziare”, diceva un tempo Del Vecchio. Claudio s’è ritirato a New York, ha comprato la Brooks Brothers, l’ha rilanciata, ma l’avventura è finita male e con la pandemia lo storico marchio wasp (che per bianchi, anglo-sassoni e protestanti) è andato in bancarotta.

 

E gli altri eredi? Il primo matrimonio con Luciana Negro s’era concluso con un divorzio e tre figli: oltre a Claudio anche Marisa e Paola. Da Nicoletta Zampillo è nato Leonardo Maria, ma anche questa relazione è stata sciolta per vie legali. Poco dopo, nella vita dell’attempato martinitt entra Sabina Grossi e nascono Luca e Clemente; poi la separazione (niente nozze questa volta) mentre torna in scena Nicoletta con la quale Leonardo si sposa di nuovo nel 2010. E cambia per due volte l’assetto proprietario. L’ultima puntata risale al marzo scorso: a ciascuno dei figli andrà il 12,5 per cento della finanziaria che possiede il 35 per cento di Essilux e le partecipazioni in Unicredit, Mediobanca e Generali. A Nicoletta il restante 25 per cento. Le decisioni verranno prese sempre comunque con una maggioranza dell’88 per cento. Se Del Vecchio diventasse incapace di esercitare i suoi diritti, verrebbe sostituito da una persona di sua fiducia, designata da lui per iscritto (un atto o un testamento), o dal più alto in grado del consiglio. Nulla è ancora stabilito, ma essendo Milleri il manager più fidato molti ritengono che il patron indicherà lui per sostituirlo e a tempo indeterminato, infatti secondo lo statuto non potrebbe essere rimosso.

 

Mogli al comando, come alla Esselunga. Bernardo Caprotti prima di morire nel 2016 aveva lasciato 75 milioni di euro a Germana Chiodi, al suo fianco in azienda da tutta una vita, il resto ai cinque nipoti. L’azienda, invece, andava alla seconda sposa, Giuliana, e alla figlia Marina; alla prole di primo letto, Violetta e Giuseppe, il 30 per cento di un gruppo che allora era valutato sei miliardi di euro. La lite tra le famiglie scoppia come da copione, alla fine Giuliana e Marina comprano tutto e prendono lo scettro: la madre presidente, la figlia vice, al timone Sami Kahale, di origine egiziana che per 33 anni è stato al vertice di Procter & Gamble. Partono nuovi investimenti, si aprono nuovi supermarket, GS sfonda al centro sud dove Bernardo non era mai sceso, lamentando ostacoli anche politico-ideologici da parte delle cooperative rosse e delle amministrazioni di sinistra. “Falce e carrello” s’intitola la brillante autobiografia di Caprotti, un nuovo libro potrebbe chiamarsi “Ruspa e carrello”. Dal conflitto è nata una nuova sintesi nemmeno fosse la fenomenologia dello spirito di Hegel. Ma così non va, almeno per ora, in casa Benetton. Il 15 marzo scorso Sabrina si è dimessa dal consiglio di amministrazione di Atlantia in seguito a “un disagio personale” per essere la figlia di Gilberto, l’artefice del successo scomparso il 22 ottobre 2018, lamentando pressioni di ogni tipo da due anni e mezzo a questa parte, dopo il crollo del ponte Morandi.

 

La decisione avviene mentre si sta arrivando alla stretta sulla vendita di Autostrade per l’Italia alla Cassa depositi e prestiti e si parla di tensioni tra gli azionisti. I Benetton controllano Atlantia, che possiede l’88 per cento di Aspi, e a questo punto sembrano impazienti di tirarsi fuori, mentre i soci di minoranza (soprattutto fondi di investimento) vogliono alzare la quotazione proposta dalla Cdp (circa 9 miliardi di euro per l’intera società). Sabrina nega dissensi interni, tuttavia la morte del padre nel momento certamente più difficile ha fatto emergere le tensioni latenti e la mancanza di una strategia. Le intercettazioni finite sui giornali mostrano l’immagine di una nave senza nocchiero. La famiglia è divisa in quattro rami: quello di Luciano (l’immagine fiammeggiante del gruppo nell’era degli United Colors), con il figlio Alessandro, quello di Gilberto con Sabrina, quello di Carlo con Christian e infine Franca Bertagnin con la figlia Giuliana. La seconda generazione conta 14 eredi, con la terza s’arriva a 41. Molti sono ancora giovani, altri come il figlio maggiore di Alessandro, o quelli di Sabrina, sono adulti alla ricerca di una prospettiva. Le autostrade italiane non covano più uova d’oro e nemmeno quelle spagnole vanno granché bene. Abertis controllata al 50 per cento più un’azione, ha aumentato i suoi debiti (23,8 miliardi di euro su ricavi di 4 miliardi) portando il fardello complessivo di Atlantia a oltre 39 miliardi rispetto a ricavi operativi di 8,284 miliardi di euro. Florentino Pérez il vulcanico presidente del Real Madrid ex numero uno di Abertis e oggi azionista di minoranza con il 30 per cento, ha presentato una offerta per l’intera Aspi che s’aggira sui 10 miliardi di euro, superiore alla valutazione della Cdp (9,1 miliardi).

 

In un caso o nell’altro, un bel gruzzolo per i Benetton i quali posseggono il 30 per cento di Atlantia che ha l’88 per cento di Autostrade per l’Italia. Per fare che cosa? Alessandro, 57 anni, ha da tempo imboccato la via della finanza e accarezza l’idea di rendersi autonomo definitivamente: gestisce la 21 Invest che ha in portafoglio 23 aziende con un fatturato aggregato di 1,6 miliardi, e all’attivo oltre cento investimenti in 28 anni di attività. Franca Bertagnin è da qualche anno consigliere indipendente della quotata Wendel Group che fa capo all’omonima famiglia francese con tre secoli di storia nell’acciaio e investimenti industriali come Saint-Gobain, Capgemini, BioMérieux, Valeo. Un’ulteriore ipotesi, ha scritto Daniela Polizzi sul Corriere della Sera, vedrebbe un ridimensionamento di Edizione con l’immobiliare, le quote finanziarie (Mediobanca e Generali) e le attività agricole. Mentre le partecipazioni nelle società quotate (Atlantia, Cellnex, Autogrill) potrebbero essere distribuite pro quota ai quattro rami familiari. Liberi tutti, i colori dei Benetton disuniti per sempre? È successo nella maggior parte dei casi, se è vero che meno del 15 per cento delle famiglie nel mondo degli affari supera la terza generazione.

 

I Marzotto in realtà sono arrivati alla sesta, partendo dal lontano 1826, ma alla fine anche loro si sono divisi. Tanti rami, tante famiglie, tantissimi eredi (ne vengono conteggiati 86), troppe spose per sette fratelli tenuti insieme per un quarto di secolo dal conte Pietro, leader indiscusso che aveva portato il gruppo in posizioni di vertice, dal tessile alla moda, fino al 2005 quando comincia la diaspora. La vendita della catena alberghiera Jolly agli spagnoli aveva provocato aperti conflitti finché non è arrivata la vera e propria spartizione in una girandola di transazioni finanziarie. Valentino, il brand più appetibile, nel 2012 finisce all’emiro del Qatar per 700 milioni di euro. Il 15 per cento di Hugo Boss resta nella holding Zignago che rappresenta una delle due principali società della famiglia (controlla la Zignago Vetro e le Cantine Santa Margherita). L’altra guidata da Antonio Favrin, il top manager di lungo corso, insieme a Andrea Donà dalle Rose (patrizio veneziano, figlio di Itala Marzotto), vuol rilanciare il tessile. Fino alla sua morte nel 2018 Pietro si era dedicato invece alla gastronomia chic comprando il negozio milanese Peck.

 

Tutt’attorno un pulviscolo di partecipazioni azionarie, portafogli ricchi, ma dispersi. “Se avessimo fatto come gli Agnelli, avremmo potuto stare ancora insieme”, commenta Matteo Marzotto, “Ma in cambio abbiamo ottenuto maggiore autonomia”. Potere contro libertà, un dilemma al quale la famiglia reale del capitalismo italiano ha cercato una soluzione con spirito sabaudo, legge salica compresa (se ne lamentò Suni la sorella più vicina a Gianni, che avrebbe desiderato una posizione di comando nell’impero Fiat), per tenere insieme una tribù cresciuta oltre misura. Nemmeno il centenario dalla nascita dell’Avvocato ha chiarito quanti siano davvero i consanguinei, almeno a un paio di centurie che riscuotono i dividendi prodotti, sotto il comando di John Elkann, dalla Exor. Sembrava un tabù abbandonare la centralità dell’automobile, ma anche questo è caduto con la fusione tra Fiat-Chrysler e Peugeot-Citroen-Opel. A quattro anni dal trasferimento ad Amsterdam, nella holding Giovanni Agnelli Bv è cresciuto il ruolo della Dicembre che racchiude degli eredi designati dell’Avvocato che hanno il 38 per cento; i figli di Umberto, Andrea e Anna Agnelli, hanno quasi il 12 per cento, segue Maria Sole con l’11,63 per cento e poi tutti gli altri. Tra i due cugini c’è di mezzo la Juventus: i suoi deludenti risultati e i pesanti debiti creano tensioni. John, che in dieci anni ha decuplicato i guadagni della famiglia, stacca gli assegni; Andrea spende e spande, però ha vinto comunque nove scudetti di fila. La successione imposta da Gianni anche contro tutte le esitazioni, le lamentele, i contrasti, le gelosie e le frustrazioni, ha dato frutti copiosi, ma con quale determinazione s’è affermata, con quali ombre, strascichi, dolori. Figli e figlie contro madri (com’è triste la lite sull’eredità che ha diviso Margherita, Marella, John e Lapo) fratelli contro fratelli, cugini in singolar tenzone. Tutte le famiglie infelici sono infelici allo stesso modo, anche quelle che potrebbero essere le più felici.