Abolire il Cashback

Luciano Capone

Con un milione di poveri in più è un ingiusto spreco spendere 5 miliardi (cinque volte il Rem) per un bonus così regressivo. Eliminando il cashback da giugno, il governo Draghi risparmierebbe 3 miliardi da impiegare nel contrasto alla povertà o per la riforma fiscale

Siccome le dichiarazioni di Mario Draghi sono rare, per interpretare la linea politica del suo governo non si può fare altro che partire dal suo discorso programmatico. In Senato, il presidente del Consiglio ha ricordato un elemento spesso dimenticato dalla classe politica: “Le risorse sono sempre scarse” e pertanto, quando si aumenta il debito pubblico, è necessario “spendere e investire al meglio”. Alla luce di queste parole, forse bisogna riconsiderare il Cashback. In quel passaggio, l’attenzione di Draghi era rivolta ai giovani e alle future generazioni su cui ricadrà l’onere di un debito impiegato in maniera poco produttiva, magari per ragioni di consenso a breve termine. Ma, nel caso del Cashback, è una preoccupazione che dovrebbe riguardare anche chi ora sta pagando le conseguenze più dure dell’emergenza in una fase in cui, appunto, le risorse sono sempre più scarse.

 

Proprio ieri l’Istat ha diffuso le stime preliminari sulla povertà in Italia nell’anno appena concluso. Lungi dall’essere stata abolita, nel 2020 la povertà assoluta ha inghiottito 335 mila nuovi nuclei familiari e oltre 1 milione di persone in più (5,6 milioni pari al 9,4 %della popolazione), soprattutto residenti al nord (720 mila). Per dare un sostegno alle famiglie in grave difficoltà a causa del Covid, e non raggiunte dal reddito di cittadinanza o da altri sussidi, il governo precedente ha introdotto il Reddito di emergenza (Rem) stanziando circa 1 miliardo (neppure integralmente speso per problemi di disegno della misura). E arriviamo al Cashback. Per questo bonus, il governo precedente ha stanziato quasi 5 miliardi, cinque volte il Rem, che assorbono la metà di tutti gli investimenti del Recovery plan in “Digitalizzazione, innovazione e sicurezza nella Pa”. Si tratta di una restituzione a ogni consumatore del 10% di qualunque spesa pagata con strumenti digitali, fino a un rimborso massimo di 300 euro all’anno (1.500 euro di spesa ogni sei mesi). Questo bonus è stato giustificato con obiettivi vaghi (incentivare i pagamenti digitali) e benefici indefiniti (recupero dell’evasione, anche se a bilancio il maggior gettito previsto è zero).

 

Di certo c’è solo che il Cashback, fortemente voluto da Giuseppe Conte e spinto dalla sua comunicazione, è un costoso sussidio regressivo di cui si avvantaggiano prevalentemente le fasce più benestanti e dei grandi centri urbani. Su questa misura non c’è stata alcuna valutazione ex ante, ma ora il governo ha a disposizione tutti i dati per misurare gli effetti del “Cashback di Natale” e del primo ciclo semestrale. Se Draghi e il ministro dell’Economia Daniele Franco decidessero di sospendere la misura prima di giugno, si risparmierebbero 3 miliardi (II semestre 2021 e I semestre 2022), che possono essere impiegati per aiutare chi è in difficoltà oppure aggiunti ai 2 miliardi stanziati per la riforma fiscale. Gli usi alternativi sono diversi, e tutti migliori del Cashback.

 

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali