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Fase 2 bancaria

Mariarosaria Marchesano

Perché l’istruttoria Antitrust su Intesa-Ubi è un precedente per il mercato del credito

Milano. Tanto rumore per nulla? Non proprio. Il clima negli ambienti di Intesa Sanpaolo il giorno successivo all’avvio dell’istruttoria Antitrust sull’offerta pubblica di cambio su Ubi Banca, che punta a verificare i possibili effetti dell’operazione nei mercati bancario, finanziario e assicurativo italiano, è di relativa tranquillità mista a un certo stupore sul merito dei rilievi avanzati dall’Autorità guidata da Roberto Rustichelli. Se da un lato, infatti, si può considerare l’istruttoria come un “provvedimento dovuto”, che non ostacolerà il compimento dell’offerta volontaria lanciata a febbraio, che tra l’altro è in attesa delle varie autorizzazioni delle autorità di vigilanza, dall’altro non si può escludere che qualche difficoltà all’operazione possa crearla. A cominciare dai tempi che si allungano.

  

Come chiarisce al Foglio una fonte ufficiale dell’Antitrust, l’iter autorizzativo è destinato a seguire due binari paralleli, quello sul prospetto informativo, in capo alla Consob guidata da Paolo Savona, sentita la Bce, e quello sull’operazione di concentrazione su cui dovrà esprimersi l’Autorità garante per la concorrenza e il mercato (Agcm), cosa che avverrà non prima della metà-fine di luglio (entro 60 giorni lavorativi dalla notifica dell’avvio dell’istruttoria avvenuto a fine aprile). Sul fronte Ubi l’intervento dell’Autorità, con le sue considerazioni inattese, ha riacceso la speranza dei soci storici bresciani e bergamaschi di bloccare l’avanzata di Intesa, che non hanno mai gradito. Un’eventualità che per ora appare poco probabile anche se, con un iter così complesso, i tempi tenderanno a dilatarsi e, chissà, molte cose potrebbero accadere. Intesa-Ubi, che rappresenta l’operazione bancaria più importante degli ultimi vent’anni, è così entrata in piena “fase due” e, al di là delle dichiarazioni di facciata, si capisce che da entrambe le parti i nervi sono scoperti perché si va incontro a settimane “calde”.

 

Nei prossimi dieci giorni, infatti, i legali delle due banche saranno sentiti dall’Agcm che al termine dell’istruttoria potrà autorizzare o meno l’operazione oppure porre delle condizioni affinché questa diventi efficace su un mercato, come quello del credito italiano, che vede 52 gruppi di cui 12 vengono classificati come significativi dal sistema di vigilanza europeo in quanto catalizzano l’80 per cento delle attività. Ebbene, questo contesto, secondo l’Antitrust, “verrebbe significativamente modificato ad esito della presente operazione principalmente sotto due profili. Da un lato, verrebbe privato della presenza di un operatore di medie dimensioni quale Ubi, che in un futuro non remoto avrebbe potuto fungere da polo di aggregazione, costituendo un terzo gruppo bancario di grandi dimensioni che si sarebbe affiancato alle due banche maggiori, Intesa Sanpaolo e Unicredit. D’altro canto, la sostanziale simmetria tra i primi due gruppi bancari nazionali verrebbe superata per effetto dell’operazione in esame, con l’importante crescita di Intesa Sanpaolo. Per entrambi i profili, nella fase istruttoria, sarà possibile fare considerazioni prospettiche in termini di ricadute concorrenziali”.

 

Dunque, l’aspetto più rilevante messo in evidenza dall’Agcm nell’apertura dell’istruttoria non è tanto la necessità di verificare che cosa succede con la fusione tra i due istituti in quelle aree geografiche su cui insistono maggiormente le reti commerciali, aspetto questo affrontato in via preventiva da Intesa con un accordo per la cessione di 4-500 sportelli a Bper, quanto quello della modifica di un assetto del mercato del credito favorevole alla creazione di un terzo grande gruppo bancario che metterebbe la parola fine al sostanziale “duopolio” di Intesa e Unicredit favorendo una più ampia concorrenza.

 

A questo va aggiunto che, tolta Ubi dal mercato, diventa difficile se non impossibile in Italia far partire quel risiko bancario in cui potrebbe entrare, per esempio, anche un gruppo come la banca pubblica Montepaschi. Si tratta di un rilievo che non è di poco conto che corrisponde, però, ad un approccio più volte messo in discussione anche a livello europeo perché, di fatto, se da un lato in questo modo si favorisce la concorrenza tra banche sul mercato domestico, dall’altro si ostacola la creazione di “campioni” del credito in grado di competere sui mercati internazionali dominati dai colossi cinesi e americani.

 

Il pronunciamento dell’Antitrust, in questo senso, è destinato a creare un precedente in una fase in cui l’aggregazione tra banche è vista con un certo favore anche dalla vigilanza europea per ragioni legate alla stabilità finanziaria che è determinata anche dalle dimensioni. Secondo il ceo di Intesa, Messina, l’offerta su Ubi Banca “ha una maggiore valenza nell’attuale fase in quanto una banca di medie dimensioni non avrebbe la scala necessaria per affrontare in sicurezza la crisi in corso”. A quest’affermazione, che risale alla fine di aprile, ha replicato qualche giorno fa il consigliere delegato di Ubi Banca, Victor Massiah, dicendo che la capacità di gestione del credito e della tecnologia in una banca “sono leve più rilevanti della sola dimensione”. Un botta e risposta a distanza in cui si riflettono due visioni legittime ma del tutto opposte. La partita forse non è finita.

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