Foto tratta dalla pagina Facebook di Airbnb

Che fare con Airbnb? Appunti per districarsi tra turisti e opportunità

Eugenio Cau

Il ministro Franceschini ha parlato di una nuova regolamentazione delle piattaforme di alloggi. Dietro c’è di più

Milano. Airbnb, la famosa piattaforma di affitti turistici, ha trascorso più di metà della sua esistenza circondata dalle controversie. E’ stata fondata nel 2008, è entrata davvero in attività nel 2009, e già nel 2013 la città di Berlino faceva approvare una legge che limitava la possibilità di affittare appartamenti a breve termine, nel tentativo di frenare l’aumento dei prezzi delle case. In quello stesso anno, il 2013, l’allora procuratore generale dello stato di New York chiedeva all’azienda i dati dei suoi host perché, sosteneva, i newyorchesi che mettevano in affitto stanze e appartamenti tramite Airbnb non pagavano le tasse dovute. Nel 2014 le città americane ed europee che legiferavano contro gli affitti turistici a breve termine e comminavano multe ad Airbnb erano ormai decine. Nel 2015 manifestanti contro il carovita occuparono l’ingresso della sede dell’azienda a San Francisco. Da allora le cose sono andate avanti in un continuo stillicidio di notizie sempre simili le une con le altre: città spagnole o britanniche che legiferano per limitare gli affitti a breve termine, inchieste che si aprono e poi si chiudono, tribunali locali o internazionali che emettono sentenze sui vari aspetti del business di Airbnb, dichiarazioni sprezzanti di un sindaco e dichiarazioni concilianti di un altro, polemiche con le associazioni degli hotel di mezzo mondo – e potremmo andare avanti. Insomma, è da quasi un decennio che la “questione Airbnb” – vale a dire la nuvola di controversie più o meno fondate che circonda il successo planetario dell’azienda – si trascina senza novità di rilievo e senza che se ne veda la fine.

 

(Qui urge una nota: la “questione Airbnb” – adottiamo questo termine in attesa che qualcuno trovi una formula giornalistica più azzeccata – non riguarda soltanto Airbnb, le compagnie interessate al fenomeno delle locazioni turistiche di tipo non alberghiero sono moltissime, variegate e sparse per il mondo. Ma l’azienda di San Francisco è il leader del settore e ormai è una sineddoche di tutto il mercato, esattamente come si dice che si è passata la serata a guardare Netflix, anche se poi il servizio di streaming era un altro).

  

Per capire quanto è complessa la questione Airbnb bisogna immaginare una serie di cerchi concentrici. Nel primo cerchio, quello interno, c’è la polemica più immediata e più variabile a livello locale: il litigio ormai sempiterno tra Airbnb e le associazioni degli albergatori. Detta in maniera brutale, gli alberghi accusano Airbnb di fare concorrenza sleale. Qui il tema è soprattutto economico e riguarda tasse e oneri burocratici. Grazie alla snellezza della piattaforma digitale, di solito chi affitta una casa o una stanza su Airbnb deve sopportare molti meno oneri dei professionisti del settore.

 

In Italia, questi affitti brevi sono tassati con cedolare secca del 21 per cento, molto meno delle imposte che devono pagare gli alberghi. La concorrenza sleale, sostengono gli albergatori, è data anche dal fatto che spesso questa cedolare non è nemmeno pagata, poiché non esiste un censimento ufficiale degli host. Una legge del 2017 imponeva ad Airbnb e alle altre piattaforme di fare da sostituto d’imposta, ma Airbnb ha fatto ricorso e attualmente il procedimento è in mano alla Corte europea di giustizia. Inoltre, sostengono i critici, a volte gli host non sono singoli cittadini che arrotondano affittando una stanza di casa, ma professionisti che cercano di svicolarsi dalle regole. Ci sono anche fenomeni come quelli dei property manager, che prendono in carico centinaia di alloggi e li gestiscono per conto dei loro proprietari, come fossero una catena d’alberghi.

 

E’ a questo livello che si inserisce la proposta, per ora esposta a livello embrionale, fatta nel fine settimana da Dario Franceschini, ministro dei Beni culturali e del Turismo, secondo cui “il tema di Airbnb va governato in modo intelligente […] Non è possibile che ci sia chi finge di avere Airbnb, e invece sono attività d’impresa mascherate”. Franceschini ha detto che presto presenterà una norma in Consiglio dei ministri, ma ha già anticipato che intende specificare un criterio di imprenditorialità per gli affitti brevi sulle piattaforme come Airbnb. Secondo il ministro, per distinguere i cittadini che affittano per arrotondare dai professionisti del turismo che fanno i furbi (e che quindi vanno tassati a dovere per evitare che facciano concorrenza sleale agli albergatori) bisogna contare il numero di immobili messi in affitto su Airbnb: chi ne affitta più di tre deve essere considerato come un imprenditore e trattato come se fosse il proprietario di un hotel. Giacomo Trovato, Country Manager di Airbnb Italia, in un comunicato dice di apprezzare che “il Ministro voglia operare nel contesto di una riforma organica e partecipata come quello del disegno di legge sul turismo” e aspetta di “conoscere nel dettaglio il testo che verrà presentato”. Bernabò Bocca, presidente di Federalberghi, dice che la norma, se confermata, è benvenuta ma non basta: secondo Bocca chiunque offra affitti brevi per turisti e viaggiatori dovrebbe avere oneri almeno in parte comparabili con quelli degli alberghi e garantiti da meccanismi di cogenza, indipendentemente dal numero di alloggi gestiti. La norma in effetti avrebbe una portata ridotta: soltanto il 24 per cento degli host di Airbnb in Italia ha più di un immobile registrato sulla piattaforma. Franceschini ha anche anticipato una riforma a livello nazionale delle tasse di soggiorno, che Airbnb ha salutato in maniera molto positiva.

  

Nei cerchi concentrici della questione Airbnb, se saliamo di un livello troviamo un tema più generale e ancora più difficile da districare, che è quello del futuro dei nostri centri storici. Qui ci spostiamo dallo scontro Airbnb-albergatori allo scontro Airbnb-sindaci. Questo scontro è presentato dai media come molto polarizzato. Spesso si prende a esempio la sindaca socialista di Parigi, Anne Hidalgo, che è una critica feroce di Airbnb e di recente ha proposto un referendum per chiedere ai cittadini cosa fare della piattaforma. I sindaci che criticano Airbnb sostengono che l’azienda americana ha snaturato il mercato immobiliare: chi prima aveva ricevuto in eredità un appartamento in centro, anziché affittarlo a una famiglia adesso pubblica un annuncio su Airbnb, perché guadagna di più e a volte paga meno tasse. Con meno alloggi disponibili, i prezzi delle case aumentano vertiginosamente, i centri storici si trasformano in parchi giorni per turisti e i residenti sono costretti ad andarsene. C’è del vero in questa analisi, ed è trasversale in tutto l’occidente l’alleanza di sindaci di destra e di sinistra che negli anni ha cercato in ogni modo di limitare la proliferazione di affitti a breve termine nelle città, imponendo un tetto al numero di notti che possono essere messe in affitto, aumentando la burocrazia, modificando la tassazione.

  

Eppure questa caratterizzazione di sindaci-giustizieri che combattono contro la piattaforma americana cattiva è esagerata, perché se è vero che i sindaci sono preoccupati per la trasformazione in corso nei loro centri storici, è anche vero che Airbnb ha generato ricchezza (5,4 miliardi di euro di impatto economico diretto nel 2018 in Italia, secondo stime dell’azienda) e fornito un servizio turistico che ormai gli stessi sindaci giudicano irrinunciabile. Si prenda per esempio il caso di Bologna, che negli ultimi anni ha scoperto una vocazione turistica che prima era quasi inesistente: dal 2013 al 2018 il numero dei visitatori è aumentato del 46 per cento, con 10 mila nuovi posti di lavoro creati. Una parte molto consistente di questi arrivi è stata assorbita dagli alloggi messi in affitto su Airbnb, ed è probabile che senza la piattaforma americana il boom turistico di Bologna oggi sarebbe inferiore. Il rovescio della medaglia, tuttavia, è che gli appartamenti che prima venivano affittati agli studenti fuorisede della città universitaria emiliana adesso sono stati riempiti di mobili Ikea e trasformati in Airbnb per turisti, mentre le vecchie locande di Francesco Guccini diventano locali hipster. Il costo degli affitti in centro è aumentato, gli studenti protestano giustamente contro la gentrificazione, ma Bologna sarebbe pronta a rinunciare ai suoi turisti? La decisione non riguarda Airbnb sì-Airbnb no, riguarda un fenomeno di lungo periodo che va governato.

 

Se saliamo ancora di un cerchio concentrico della “questione Airbnb”, arriviamo al tema rarefatto dei flussi del turismo mondiale. Il numero delle persone che si sposta per andare a visitare un altro paese aumenta del 3-4 per cento anno su anno. Significa che ogni anno ci sono decine di milioni di persone in più che cercano un alloggio per visitare Firenze, Pechino, New York, lo cercano comodo, in centro città e a buon prezzo. Il vero successo di Airbnb è stato riuscire a intercettare questo trend. Ma se anche un’ingiunzione tribunalizia facesse chiudere l’azienda dall’oggi al domani difficilmente certi fenomeni si fermerebbero. Regolare Airbnb e le altre piattaforme è soltanto una piccola porzione di un progetto più grande.

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  • Eugenio Cau
  • E’ nato a Bologna, si è laureato in Storia, fa parte della redazione del Foglio a Milano. Ha vissuto un periodo in Messico, dove ha deciso di fare il giornalista. E’ un ottimista tecnologico. Per il Foglio cura Silicio, una newsletter settimanale a tema tech, e il Foglio Innovazione, un inserto mensile in cui si parla di tecnologia e progresso. Ha una passione per la Cina e vorrebbe imparare il mandarino.