Christine Lagarde (foto LaPresse)

La Bce “verde” di Lagarde rischia di dividere (ancora) il board

Mariarosaria Marchesano

Tassi invariati e via alla revisione strategica. La prima riunione del 2020 delude le attese

Milano. La spilla dorata e a forma di gufo appuntata sul bavero della giacca nera, dice quasi tutto sulla “strategia personale” di Christine Lagarde, che ieri ha presieduto il primo board del 2020 della Bce, il secondo da quando ha preso il posto di Mario Draghi. La promessa fatta lo scorso dicembre di non essere né “falco” né “colomba”, ma di trarre ispirazione da un animale “saggio” per caratterizzare il suo mandato alla guida della banca centrale europea, è tutta in quella spilla che sembra simboleggiare la volontà di ricompattare il consiglio direttivo della Bce intorno alle decisioni di politica monetaria dopo le  divergenze dell’ultima fase dell’éra Draghi. Ma il compito non sarà facile e un primo assaggio si è visto proprio ieri, quando la Bce, dopo aver confermato che i tassi d’interesse resteranno invariati per continuare a sostenere la crescita dell’Eurozona in una fase in cui permangono fattori d’incertezza, ha dato ufficialmente il via alla revisione strategica, ma senza entrare nei dettagli e ponendo il focus sulla modifica dell’obiettivo dell’inflazione.

 

 

La riunione della Bce ha così deluso le attese di quanti pensavano potesse emergere qualcosa di più concreto rispetto al ruolo che potrebbe svolgere nella lotta al cambiamento climatico, in particolare sulla possibilità di orientare il Quantitative easing verso un maggior acquisto di obbligazioni verdi rispetto a quanto faccia oggi. Ma è stata proprio la presidente Lagarde, incalzata dalle domande dei giornalisti in conferenza stampa, a rilanciare la prospettiva di una Bce “verde” poiché il cambiamento climatico “rappresenta un fattore di rischio per la stabilità dei prezzi dell’Eurozona e questa è la mia missione”, ha detto. In ogni caso, Lagarde si è data tutto quest’anno di tempo per cercare il più ampio consenso nel consiglio direttivo. “Non sono un presidente dispotico – ha affermato - Ho le mie idee così come le hanno gli altri. Penso che dobbiamo arrivare il più possibile a una visione condivisa per portare avanti il nostro mandato. Saranno proposte differenti visioni e non posso prevedere ora quali saranno i risultati”.

 

 

Non è difficile immaginare che dietro tanta cautela ci siano le diverse visioni di banchieri centrali come lei, ma anche come il governatore della Banca d’inghilterra, Mark Carney, per i quali il tema dell’ambiente deve essere assorbito dalle politiche monetarie, e chi, come il presidente della Bundesbank, Jens Weidmann, si è già dichiarato contrario. Per la verità, il “falco” Weidmann si è costantemente opposto al programma di Qe, che è stato riavviato lo scorso ottobre dopo una sosta di 10 mesi, spingendo Draghi a chiamarlo “Nein zu allem”, cioè “No a tutto”. Ma mentre Draghi non ha mai affrontato la questione ambientale, Lagarde ha sempre mostrato un interesse maggiore sia come capo del Fondo monetario internazionale sia (soprattutto) nel discorso davanti al Parlamento europeo di settembre 2019, quando ha prospettato la possibilità per la Bce di potenziare i suoi acquisti di obbligazioni verdi, una volta che sarà definita una griglia di criteri che identificherà questi asset (la banca centrale europea detiene già il 20-25 per cento di green bond denominati in euro in circolazione, ma secondo Lagarde potrebbe fare molto di più).

 

Il ”falco” Weidmann, che era stato candidato a sostituire Draghi, non l’ha presa bene e subito dopo quel discorso ha sostenuto più volte pubblicamente che spetta ai governi risolvere una questione come l’inquinamento, il che per molti paesi che non possono superare i tetti di spesa pubblica potrebbe voler dire l’introduzione di nuove tasse. Resta il fatto che se l’azione della Bce non sarà più neutrale rispetto alla questione climatica - che, nella sostanza, vorrà dire ridurre gli acquisti di titoli in settori ad alta intensità di carbonio - bisognerà individuare una linea su cui far convergere anche lo scettico Weidmann, la cui posizione non è isolata all’interno del board Bce ma trova come sponde anche i rappresentati di Olanda e Austria. La discussione è solo all’inizio.

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