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Da nord a sud, le imprese nella trappola dell'incertezza

Mariarosaria Marchesano

Investimenti produttivi fermi nonostante la liquidità in circolazione. Dal governo segnali di instabilità, dicono le associazioni

Se esistesse nei manuali di microeconomia, si potrebbe chiamare la “trappola dell’incertezza”, il fenomeno che, da nord a sud, sta spingendo le imprese italiane a mettere un freno agli investimenti produttivi nonostante l’enorme quantità di liquidità in circolazione a cui si può accedere a costi mai stati così bassi. Incertezza politica, incertezza delle regole, incertezza commerciale. Di fronte a tutte queste incertezze, le aziende avrebbero cominciato a tirare i remi in barca dando vita a una sorta di “serrata” degli investimenti. A lanciare il sasso nello stagno è stata l’Abi, l’associazione bancaria italiana, che non ha esitato ad attribuire il vistoso calo nei prestiti registrato a novembre 2019 (-1,9 per cento rispetto allo stesso mese del 2018) alla contrazione della domanda. Che cosa sta succedendo? Sembra proprio che chi gestisce attività economiche e commerciali stia cominciando a preferire di ingrassare i depositi dei conti correnti bancari – che risultano in aumento – piuttosto che programmare l’apertura di nuovi impianti e l’avvio di progetti. A riprova di ciò, il vice presidente dell’associazione, Gianfranco Torriero, sottolinea come i tassi sui nuovi finanziamenti abbiano raggiunto un nuovo minimo storico dell’1,27 per cento, ma che a fronte di questo l’unica componente della domanda che risulta in aumento è quella per finanziare fusioni, incorporazioni e ristrutturazione degli assetti societari (+10 per cento nel terzo trimestre 2019), mentre la richiesta di denaro per alimentare scorte e capitale circolante, quindi per investimenti produttivi, sta sprofondando (-20 per cento nello stesso periodo).

   

“L’attuale governo non è riuscito a entusiasmare gli imprenditori, a fargli tornare la voglia di rischiare – dice al Foglio Fabio Ravanelli, presidente di Confindustria Piemonte – Così, l’offerta di liquidità è vastissima, ma gli investimenti diminuiscono perché prevale l’incertezza che è la nemica numero uno delle imprese. Provvedimenti come il sostanziale depotenziamento di Industria 4.0 e le nuove tasse su zucchero e plastiche sono stati percepiti come elementi di grave instabilità da un tessuto produttivo che sta pagando lo scotto del calo degli ordini produttivi dalla Germania”. Per Ravanelli, poi, la liquidità in circolazione non è accessibile a tutti. “Si è accentuata la polarizzazione tra le imprese considerate solide dalle banche, e per questo motivo inondate di denaro anche quando non ne hanno bisogno, e imprese che fanno sempre più fatica a farsi sostenere in piani di espansione”.

  

La considerazione polemica trova riscontro nelle rilevazioni del gruppo tecnico credito e finanza di Confindustria diretto da Matteo Zanetti, il quale dissente dall’Abi: “La domanda di credito bancario da parte delle imprese a noi risulta costante – precisa – C’è piuttosto un rallentamento degli investimenti dovuto soprattutto a un’incertezza di tipo regolamentare, ma anche al fatto che le aziende si stanno rivolgendo a canali alternativi a quello bancario che è diventato più selettivo nell’erogazione di prestiti”.

  

Fuori dai centri studi, nelle associazioni territoriali, l’approccio è meno soft. Assindustria Venetocentro, in collaborazione con la Fondazione nord-est, ha realizzato un sondaggio sulle previsioni del 2020 su un campione di 576 imprese. Ebbene, le stime di contrazione espresse dagli intervistati (21,2 per cento) superano quelle di aumento (19,9 per cento, 14 punti in meno rispetto al terzo trimestre del 2017). “I risultati dell’indagine confermano che il vero spread è la sfiducia legata all’incertezza della congiuntura, all’instabilità politica, che si riflettono sugli imprenditori congelando le decisioni di investimento” dice Maria Cristina Piovesana, presidente di Assindustria Venetocentro. In Campania l’aria che si respira è solo in parte diversa. Il presidente regionale della Federazione degli industriali, Vito Grassi, dice di apprezzare l’attenzione che il governo sta dedicando al sud (“attenzione che mancava da svariati anni”), “ma lo stesso governo ci deve ancora dimostrare in che modo intende far ripartire quest’area del paese. A noi imprenditori non serve assistenza per programmare gli investimenti ma infrastrutture efficienti e una macchina burocratica che funzioni. Oggi l’incertezza burocratica al sud è totale”. Dall’Assolombarda guidata da Carlo Bonomi si preferisce affrontare il tema snocciolando un paio di dati molto eloquenti: già alla fine del terzo trimestre 2019 la contrazione dei finanziamenti bancari alle imprese era in calo in Lombardia più del doppio della media nazionale (-2,3 per cento) con una flessione ancora più accentuata per le imprese con meno di 20 addetti (-2,7 per cento). Non è ancora disponibile il dato regionale di novembre, ma la serrata degli investimenti produttivi nella locomotiva d’Italia potrebbe risultare ancora più accentuata che nel resto d’Italia. E Renato Carli, del gruppo credito e finanza dell’associazione, ammette: “La minore propensione delle imprese all’investimento rappresenta senz’altro una delle ragioni del calo dei prestiti in un momento di forte stagnazione del quadro economico, ma le procedure per l’erogazione del credito sono spesso troppo lunghe e complesse”.

  

Il rimpallo tra Confindustria e Abi su domanda e offerta di prestiti non cambia il fatto che gli investimenti produttivi stiano calando. E la novità è che per la prima volta da tanto tempo, non sono solo le imprese legate alla domanda interna a rallentare il passo, ma anche quelle legate agli ordini dall’estero, come spiega Gregorio de Felice, capo economista di Intesa Sanpaolo e profondo conoscitore dei trend macro legati ai territori: “Nel terzo trimestre del 2019 c’è stato un rallentamento delle esportazioni dello 0,5 per cento e su base annua le vendite all’estero crescono meno degli anni precedenti. Intendiamoci, la bilancia commerciale dell’Italia è sempre molto favorevole. Ma l’incertezza legata al commercio mondiale è stata uno dei fattori che sicuramente ha spinto le aziende a chiedere meno finanziamenti per rinnovare le scorte”.

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