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Viaggio nell'industria degli yacht

Claudia Giulia Ferrauto

L’Italia è leader mondiale con migliaia di addetti e piccole e medie imprese che hanno recuperato

Qualità, ingegno e creatività rappresentano i valori che hanno reso il made in Italy un marchio ricercato nel mondo. All’interno di questa categoria un posto di spicco è ricoperto dal comparto nautico che anche quest’anno ha messo in mostra, durante il mese dei saloni, le novità del settore nelle tre vetrine principali del mediterraneo: da Cannes a Genova per finire con il Monaco Yacht Show. Quest’ultimo, in particolar modo ha generato, a detta di tutti gli operatori del settore, tanto traffico di qualità e ha visto nascere diverse trattative, anche se queste, affermano, tendono ad essere più lunghe rispetto al passato. 

 

In ogni caso, i dati che emergono dal report realizzato da Ucina, in collaborazione con Fondazione Edison, rendono possibile delineare un quadro d’insieme del mercato nautico che evidenzia un fatturato globale del settore pari a 4,27 miliardi di euro, che significa un incremento di fatturato del più 10,3 per cento rispetto al 2017.  Un dato importante, anche se siamo lontani 6,2 miliardi di euro del 2008. Ma al di là di questo, la crescita in atto riveste un valore molto significativo se si considera che parliamo di un aumento a due cifre per il quarto anno consecutivo.

 

 

L’industria italiana della nautica da diporto consolida quindi uno stato di salute generale del settore, con un fatturato che ha registrato un incremento del 75 per cento – dai valori minimi toccati nel 2013. Performance che forse non ha pari nel settore industriale italiano. E se da un lato la ripartizione del fatturato per comparto vede la prevalenza della cantieristica, con 2,75 miliardi di euro (circa il 64,5 per cento del totale) la crescita è stata registrata in tutte le diramazioni, a partire dall’accessoristica che con 1,16 miliardi di euro detiene una quota del 27,1 per cento, seguita dai motori che con 358 milioni di euro, si prendono l’8,4 per cento del totale.

 

La nautica però non è solo prodotto, ma anche e soprattutto professionalità e competenze a servizio del settore, ed è quindi consequenziale che anche qui, nel corso dell’ultimo anno, sia aumentato il numero degli addetti diretti, per un totale di 22.310 – un aumento del più 13,8 per cento sul 2017. Neanche a dirlo, tutto questo va di pari passo al contributo della nautica al pil, aumentato di un valore pari al 10,6 per cento rispetto all’anno precedente.

 

Il settore registra valori in crescita anche nel mercato interno che segna un 10,7 per cento in più rispetto al 2017 – per un totale di 1,48 miliardi di euro, con un aumento specifico del 15,2 per cento. Anche se, è innegabile, la risorsa principale che tiene su la nautica italiana viene dall’export. Nella classifica degli esportatori mondiali nel settore nautico, l’Italia occupa infatti il secondo posto, subito dopo i Paesi Bassi, con 2.175 milioni di dollari e il 13,2 per cento di quota export mondiale e una crescita del 16,1 per cento rispetto al 2017 (fonte: Fondazione Edison, dati Istat e ITC-UN Comtrade).

 



 

In particolar modo sono gli yacht sopra i 24 metri che vedono, ancora una volta, il primato indiscusso dei cantieri italiani e che raccolgono ben il 46 per cento degli ordini mondiali, secondo Global Order Book. Accanto ai superyacht si afferma come primo al mondo, anche il comparto italiano delle unità pneumatiche per il segmento superiore ai 7 metri. 

 

Al di là dei dati, il valore dell’export è confermato da diversi cantieri. La principale domanda viene dai mercati esteri che vede al primo posto gli Stati Uniti – per un valore di 476 milioni di dollari – che richiamano da soli il 24 per cento delle esportazioni di unità da diporto dall’Italia. “Attualmente su dieci clienti con cui stiamo trattando per altrettanti potenziali nuovi yacht, l’80 per cento provengono dagli Stati Uniti, un 15 per cento dall’Europa e – come spiega Federico Rossi, COO dei cantieri Rossinavi – un 5 per cento da altre destinazioni. E’ un bene per carità, anche se dispiace che manchino gli armatori italiani. Credo dipenda da una questione culturale, negli Stati Uniti chi guadagna è fiero di potersi permettere un certo stile di vita e viene stimato per il suo successo, qui in Italia si tende a pensarla diversamente”. Questa valutazione trova eco da più parti. “Il mercato interno italiano potrebbe trarre nuovo vigore se ci fosse maggior impegno per una politica anti demagogica. Continuare a porre un accento negativo su chi spende, disincentiva potenziali acquirenti italiani e questo, paradossalmente, non ha ripercussioni negative su chi può comprare ma proprio sulle famiglie che hanno bisogno di lavorare – dice Francesco Carbone, general manager della divisione yachting di Palumbo Group – per fortuna il nostro prodotto (superyacht internamente custom) è molto richiesto all’estero. In Italia bisogna capire che la cantieristica dà lavoro a centinaia di persone per anni. Basta pensare che durante la costruzione del Columbus 80 – il sesto superyacht più grande mai costruito in Italia – durante l’attività di verniciatura (fase che dura circa un anno) avevamo un centinaio di addetti che lavoravano a scafo e altrettanti che lavoravano al suo interno. I cantieri danno lavoro a centinaia di persone e quindi a centinaia di famiglie”. 

 

A proposito di lavoro e di indotto è utile sottolineare come in Italia il comparto nautico, che ha un peso positivo sull’indotto dell’intera penisola, sia maggiormente concentrato in 5 poli produttivi;  il distretto tirrenico (formato dalle province di La Spezia, Massa-Carrara, Livorno, Pisa e Lucca); il distretto adriatico (composto dalle province di Ravenna, Forlì-Cesena, Rimini, Pesaro-Urbino e Ancona); la Lombardia considerata nel suo complesso e infine la provincia di Torino e quella di Napoli – dove sono attive ben 428 imprese della cantieristica nautica – pari al 47,1 per cento del totale – e dove sono occupati 9.111 addetti, che rappresentano il 66,9 per cento del totale e che generano un fatturato pari all’81,2 per cento del fatturato italiano della nautica. (Sono numeri elaborati da Fondazione Edison su dati Istat e AIDA-Bureau Van Dijk)

 

Tornando all’andamento del mercato, per sentire il polso di questi primi mesi del 2019, sia a livello globale che rispetto alla cantieristica italiana, uno sguardo d’insieme e super-partes ci viene dall’agenzia Camper&Nicholson, una delle più grandi e prestigiose società dello yachting al mondo: “Quest’anno, fino ad ora, abbiamo registrato un aumento di richiesta nel mercato del charter, ma anche un significativo aumento della domanda per quanto concerne il mercato della new built (nuove costruzioni) da parte di potenziali armatori interessati a valutare progetti particolari, dedicati, che non sono presenti sul mercato. Lavoriamo moltissimo con diversi cantieri italiani – dice Paolo Casani, Ceo di Camper&Nicholson – perché poi quando si tratta delle new built ci sono tanti clienti che ci chiedono espressamente di riferire loro un nome italiano in quanto il made in Italy rappresenta un certo tipo di custom-made e un particolare livello di qualità che lo yachting italiano sa garantire”.

 

A ulteriore riscontro della leadership in questo settore, anche quest’anno nelle prime tre posizioni del Global Order Book  (classifica annuale che riporta l’andamento del settore degli yacht sopra i 24 metri di lunghezza) troviamo il podio occupato dai cantieri italiani con, in testa, il gruppo Azimut-Benetti, seguito da Ferretti Group (che comprende i cantieri, Riva, Pershing, Wally, CRN, Ferretti Custom Line, Itama, Ferretti Yachts e Mochi Craft) seguito in terza posizione dai cantieri Sanlorenzo.

 

Interessante sottolineare come tra i leader, il Gruppo Ferretti  ha già presentato un primo bilancio ufficiale dell’andamento che conta nuovi ordini per oltre 465 milioni di euro nei primi nove mesi del 2019 (in aumento del 18 per cento rispetto a primi nove mesi del 2018).  Ricavi di un certo peso alla luce della scelta del Gruppo di non proseguire con l’operazione di Ipo, mossa che, considerati i dati dei ricavi registrati, potrebbe essere letta come uno step-back in stile Nba, ovvero una mossa utile al fine di ottenere potenzialmente un maggior vantaggio in futuro.

 

In sintesi, il mercato italiano, migliora ma risulta ancora debole nelle domanda interna, mentre veste un ruolo importante sul piano dell’indotto e della valorizzazione del territorio giocando poi un ruolo di primo piano fuori casa, nell’export. 

 

Oltre ai miglioramenti culturali su cui si può e si deve lavorare, che sbocchi e che direzione può avere il nostro essere leader di questo mercato? La risposta è da cercare nei dati del Boating Market Review di Deloitte da cui emerge un dato particolarmente significativo: la penetrazione del mercato dei superyacht rispetto alla popolazione degli High Net Worth Individual (Hnwi, ovvero persone con un alto patrimonio netto che eccede il milione di dollari) a livello globale è circa il 3 per cento. Nel mondo ci sono infatti circa 18,2 milioni di persone che detengono 70,2 miliardi di euro e che teoricamente possono essere interessati ad acquistare un superyacht. La popolazione globale di Hnwi risulta maggiormente concentrata tra Stati Uniti, Europa e Asia. In particolare nell’Asia-Pacifico, dove la diportistica non ha ancora preso piede, si stima una presenza di 6,2 milioni di Hnwi.  Per raggiungere un terreno di gioco così importante e, a oggi, quasi estraneo allo yachting serve impegno. “C’è un problema culturale, bisogna dargli tempo per appassionarsi a vivere il mare – sostiene Lamberto Tacoli, Ceo di Perini Navi – e più che possedere una barca è importante che prendano familiarità con la navigazione. Ma credo sia solo una questione di tempo che bisogna dare, poi arriveranno. Per fare questo è importante il lavoro di promozione delle aziende italiane, in quest’area, che oltre ad essere leader di settore sono particolarmente flessibili alle richieste del cliente. E’ questo le rende uniche”  .

 

Abbiamo tra le mani un settore in ripresa e che ha margini di crescita enormi. Oggi è quanto mai cruciale proteggere e valorizzare un comparto che ha le potenzialità  per viaggiare più velocemente.

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