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Di male in Piaggio

Renzo Rosati

Lega e M5s usano un’altra crisi ligure per regolare i conti e farsi sgambetti. Ci rimettono i lavoratori

Roma. I segretari nazionali di Fiom Cgil, Fim Cisl e Uilm sono al ministero dello Sviluppo economico per la crisi di Piaggio Aerospace: ma non è detto che a riceverli sia il titolare del Mise Luigi Di Maio, in imbarazzo su un dossier che divide il M5s e del quale la Lega si è finora lavata le mani. La convocazione è arrivata in modo irrituale, per telefono e appuntamento “informale” alle 16,30: pochissimo per discutere. “Basta incontri farlocchi”, dicono i sindacati. A Genova il governatore della Liguria Giovanni Toti, ala destra di Forza Italia e in ottimi rapporti con la Lega che esprime il sindaco Giovanni Bucci, fa fronte con i dipendenti. Sono 1.027 i lavoratori che questo mese hanno ricevuto l’ultimo stipendio. Da maggio saranno in cassa integrazione con prospettive fumose per i 797 addetti dello stabilimento di Villanova d’Albenga, i 217 di Genova, i 13 di Roma. A loro si aggiungono i 70 dipendenti di Laer H, fornitrice di Piaggio, e i 500 della Bombardier di Savona; che non si fidano più della regione né di Toti al quale lamentano la scarsa pressione almeno sull’alleato leghista.

 

La crisi Piaggio si aggiunge alle lentezze nella ricostruzione del ponte Morandi, alle incertezze su banca Carige, alla gronda autostradale bloccata dal ministro a 5 stelle Danilo Toninelli. E con caratteristiche kafkiane: dieci giorni fa la commissione Bilancio della Camera, presieduta dal salviniano Claudio Borghi, ha inviato al governo una sollecitazione firmata dal 5 Stelle Giuseppe Buonpane, per sbloccare 250 milioni per l’acquisto del drone P1HH al quale è legato il destino dell’azienda. I grillini sollecitano se stessi: i fondi annunciati a febbraio da Di Maio sono fermi e “oggetto di riflessione” della pentastellata titolare della Difesa Elisabetta Trenta. “I 5 stelle escano dal mondo dell’infanzia e si prendano finalmente qualche responsabilità”, tuona Toti. Eppure Genova vanta due sottosegretari genovesi dioscuri di Salvini: Edoardo Rixi e Armando Siri, entrambi alle infrastrutture. Ma la Lega si tiene a distanza da un groviglio legato a commesse militari mentre il premier Giuseppe Conte se ne disinteressa.

 

La vicenda Piaggio è simbolica dello scaricabarile tra i due alleati di governo, ma a anche delle faide interne. E ormai è appesa a due modelli: il P 180 Avanti, un turboelica executive da 6-9 posti, e il drone P1HH. Non sono di oggi ma neppure antichi i travagli della Piaggio Aero, ex Rinaldo Piaggio che produceva bombardieri militari e dalle cui costole nacque nel 1946 l’altra Piaggio, quella di successo mondiale degli scooter. Contrariamente ad altre aziende aeronautiche la Piaggio Aerospace non è mai stata pubblica. Nel 1998, èra Prodi, venne comprata da una cordata di industriali con a capo Piero Lardi Ferrari, il figlio di Enzo, per dedicarsi ad apparecchi executive: business allora promettente e che nel 2006 (sempre con Prodi) attirò gli investimenti prima di Mubadala, il fondo sovrano di Abu Dhabi, poi nel 2009 del gruppo indiano Tata. Nel 2014, con il governo di Matteo Renzi, Mubadala ha comprato da Piero Ferrari la quota residua divenendo azionista al 100 per cento; operazione favorita dalla contemporanea presenza al vertice di Ferrari (quella delle Formula 1) e del fondo di Abu Dhabi di Luca Cordero di Montezemolo; Renzi inaugurò a novembre 2014 fa il moderno stabilimento di Villanova d’Albenga. Nel frattempo l’azienda aveva cominciato a produrre droni, in particolare il P1HH “Hammerhead” per uso militare del quale il ministero della Difesa avviò gli ordini scontrandosi con un prodotto italo-franco-tedesco progettato per l’Italia dalla allora Finmeccanica, il Male 2020. Nessuno probabilmente potrà dimostrare che il lobbying dell’azienda pubblica, divenuta intanto Leonardo, si sia imposto su quella privata. Fatto è che per quest’ultima la ruota iniziò allora a girare al contrario: a fine 2016 cambia vertici e annuncia una pesante ristrutturazione, un anno dopo la Reuters scrive che il ramo executive dei P 180 potrebbe finire in mani cinesi – e il governo Gentiloni annuncia l’esercizio del golden power al quale né Prodi né Renzi avevano pensato. L’esecutivo “del cambiamento” cambia le cose in peggio: una commessa già stanziata da 766 milioni per venti droni svanisce nel nulla. Con modalità surreali: a luglio 2018 nelle commissioni Bilancio e Difesa del Senato due grillini, Vincenzo Presutto e Mario Turco, litigano intorno al concetto se i droni siano “di uso civile o militare”. Salvini prova a metterci becco dicendo che potrebbero controllare le coste, poi rinfodera gli artigli. Da Abu Dhabi ritirano l’investimento e chiedono l’amministrazione straordinaria che arriva con il commissario Vincenzo Nicastro. Nulla è risolto ma è iniziato l’esodo all’estero di ingegneri: 120 laureati e ricercatori se ne sono già andati.

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