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la sfida alla decrescita triste

L'economia ci dice che la felicità si può misurare: oltre il pil c'è di più

Leonardo Becchetti

Il manifesto politico della società che verrà e che può sfidare le passioni tristi del sovranismo non può che essere fondato sui principi della felicità e della generatività

Roma. I politici sanno che senza soddisfazione di vita dei loro elettori non saranno rieletti e per questo hanno spinto negli ultimi anni per migliorare le informazioni statistiche sulla felicità. Su cui sino a qualche decennio fa si potevano solo fare discussioni filosofiche. Oggi la felicità si misura e abbiamo ormai a disposizione milioni di dati e migliaia di studi empirici.

 

Una caratteristica rilevante di questi studi sono le straordinarie regolarità nei risultati di ricerche fatte in paesi diversi e in diversi intervalli temporali. Per sintetizzare al massimo la felicità dipende da condizioni personali che aumentano le nostre potenzialità e capacità di fare (reddito, salute ed istruzione), da condizioni territoriali che rendono possibile la nostra libera iniziativa (assenza di corruzione, qualità delle amministrazioni, libertà d’impresa) e da un “ultimo miglio” che è fatto dalla nostra personale capacità di attivarci (qualità della nostra vita di relazioni, gratuità). Per capirci, possiamo essere al top di reddito, salute e istruzione, vivere nel migliore dei paesi possibili dal punto di vista delle condizioni di contesto ma passare la giornata buttati sul divano. Se manca l’ultimo miglio della felicità, che possiamo chiamare “generatività”, non possiamo essere felici. Per generatività intendiamo la capacità con la nostra vita di mettere in campo azioni e comportamenti che aumentano la soddisfazione di vita di qualcun altro. Si può essere generativi, creando o partecipando alla vita di un’impresa, un’organizzazione a movente ideale, creando relazioni ed affetti, partecipando attivamente alla vita civica e politica del proprio paese o della propria città.

 

Il manifesto politico della società che verrà e che può sfidare le passioni tristi del sovranismo, fondate sull’illusione che il conflitto coi migranti o con l’Europa possa migliorare le nostre vite non può che essere fondato sui principi della felicità e della generatività. Ovvero sull’obiettivo di costruire società al cento per cento generative, che creino le condizioni affinchè ciascun cittadino possa essere generativo. Società che mettono al centro meccanismi di prosperità economica e sociale, ovvero quell’1+1=3 che insegna come fiducia, cooperazione e capitale sociale generano valore aggiunto nei rapporti tra cittadini e paesi. Contrapponendo tale principio a quello dell’1 contro 1 che fa sempre meno di 2 come insegnano tutti gli esempi storici di guerre commerciali che riducono alla fine la torta della crescita globale.

 

Con il paradigma dell’economia civile, assieme a tanti colleghi nel paese, stiamo traducendo questi principi in un nuovo modo di concepire l’economia e le politiche economiche. Sgombriamo subito il campo da equivoci. Perseguire felicità e generatività non ha niente a che fare con l’idea della decrescita. Tutti gli studi indicano che la crescita economica è condizione necessaria per la soddisfazione di vita (non se ne può prescindere dunque) ma non sufficiente. La crescita economica del futuro dovrà necessariamente essere ambientalmente e socialmente sostenibile. E la soddisfazione di vita delle persone, che poggia sulla prosperità economica di un paese, poggia poi necessariamente su altre dimensioni chiave come istruzione, salute, qualità dei servizi, qualità della vita di relazioni e generatività. Il mainstream economico prossimo venturo ci porterà oltre visioni anguste di persona, impresa e valore verso una maggiore capacità di riconciliare profitto e impatto sociale (quell’ibridazione che è stata titolo di una recente copertina dell’Economist). E verso forme di politica economica partecipata perché la complessità delle società globali non può essere gestita soltanto dal binomio mercato-leader illuminato e ha bisogno della terza mano della cittadinanza attiva e della quarta delle imprese civilmente responsabili. Questi progressi sono chiaramente progressi sociali in direzione di una maggiore generatività di tutti i cittadini.

 

Ne parleremo dal 29 e 31 marzo a Firenze con i protagonisti di questo nuovo paradigma nel nostro paese: i giovani startupper selezionati attraverso decine di hackaton (concorsi locali per l’innovazione) fatti nelle università del paese, gli imprenditori leader nella capacità di coniugare creazione di valore economico e impatto socioambientale, gli amministratori che hanno spinto in avanti la frontiera della sostenibilità. Oltre che economisti, ministri e rappresentanti delle istituzioni.

 

Non esiste altra alternativa possibile per il nostro futuro se non quella di coniugare innovazione e solidarietà. Per evitare da un lato una fredda tecnocrazia che produce nella società rivolte e crisi di rigetto e, dall’altro, un buonismo poco competente che rischia di produrre più danni che benefici. Con l’economia civile che non è solo discussione tra esperti ma movimento sociale e popolare stiamo provando a costruirla.

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