Infografica di Enrico Cicchetti

Il blues delle raffinerie italiane

Enrico Cicchetti

Nei primi nove mesi del 2018 i prodotti lavorati in Italia sono stati il 2 per cento in meno dello stesso periodo dell'anno precedente

La concorrenza dei grandi impianti di medio oriente, Asia e Russia ha scombinato le carte nel mercato europeo della raffinazione, che sopporta vincoli ambientali e costi più elevati dei suoi competitor. Anche l’Italia ha subito questi nuovi equilibri, rispondendo con chiusure e razionalizzazioni, mentre si trova a gestire la necessità di investimenti elevati per soddisfare gli standard ambientali e prospettive incerte sui consumi. Così nei primi nove mesi del 2018, secondo i dati rilevati da Unione petrolifera, le lavorazioni delle raffinerie italiane sono diminuite del 2 per cento rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, fermandosi a 54,5 milioni di tonnellate. Un dato che conferma il trend negativo degli anni scorsi: dopo i picchi raggiunti nel 2005 e nel 2007 (quasi 100 milioni di tonnellate l’anno), le lavorazioni di greggio e semilavorati di importazione sono calate fino a 70 milioni di tonnellate/anno (dato 2016). Di contro, la capacità “effettiva” degli stessi impianti resta parzialmente inutilizzata. Negli ultimi dieci anni, inoltre, il mercato italiano si è anche ridimensionato per numero di impianti attivi, dopo la chiusura di Cremona, Mantova e Pantano, mentre Gela e Marghera hanno iniziato a lavorare biocarburanti abbandonando la raffinazione di greggio.

 

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