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Redazione

Dietro alla “retromarcia” salvinista c’è il silenzioso diniego del mercato

Nell’attesa di sapere quanto deficit il governo pensa di fare l’anno prossimo è bene ricordare che quel numeretto equivale a maggior debito che il Tesoro dovrà andare a vendere in asta, in un anno – il 2019 – già molto affollato, avendo per giunta alle spalle mesi complicati. Secondo l’ultimo rapporto sulla stabilità finanziaria di Banca d’Italia, l’anno prossimo il governo dovrà chiedere ai mercati almeno 400 miliardi con prezzi di acquisto che “hanno registrato un forte incremento alla fine di maggio”. Successivamente questi prezzi si sono ridotti, “rimanendo tuttavia superiori ai livelli di inizio anno”. Il rendimento medio all’emissione, infatti, ha raggiunto l’1,97 per cento in ottobre mettendo fine al lungo periodo di calo del costo medio del debito, arrivato adesso al 2,7. Il costo delle emissioni mensili è tornato al livello di fine 2013.

 

La durata media del debito pubblico, pari a 6,7 anni, garantisce un aumento al rallentatore del costo del debito. E’ opportuno sottolineare che “un aumento permanente di un punto percentuale dei rendimenti all’emissione determinerebbe una maggiore spesa per interessi pari allo 0,15 per cento del pil il primo anno, allo 0,30 il secondo e allo 0,45 per cento il terzo”. Ciò avrebbe effetti diretti sul costo del debito che crescerebbe di 0,1 punti dopo il primo anno, di 0,2 punti dopo il secondo e di 0,4 punti dopo il terzo. I 400 miliardi di emissioni, peraltro, arrivano in un mercato primario ancora difficile, come mostrano le cronache recenti. Il Btp Italia che si è venduto a fatica, per esempio. Oppure l’annuncio, ieri, dell’annullamento dell’asta del 13 dicembre mentre l’asta dei Btp indicizzati registrava ancora rendimenti in crescita. “Le quantità quotate rimangono inferiori a quelle del primo trimestre dell’anno e i differenziali denaro-lettera sono ancora ampi”, scrive Banca d’Italia. Tali tensioni sono la cartina di tornasole anche dei cambiamenti nella distribuzione della titolarità dei titoli di stato italiani. Nel secondo trimestre del 2018 la quota di Btp detenuta da investitori esteri si è ridotta di circa il 3 per cento, arrivando al 24, il calo più robusto dal secondo trimestre 2012. Così è facile capire da dove arriva la cautela nel “non impiccarsi ai decimali”.

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