Perché la nomina di Enria alla Vigilanza Bce è una vittoria a metà
Il capo dell’Eba alla Vigilanza bancaria. Ma con l’uscita di Draghi, Tajani e Mogherini finirà l’èra di un’Italia super in Europa
Roma. La presidenza della Vigilanza unica europea (Ssm) va all’italiano Andrea Enria. Così ha deciso il Consiglio direttivo della Banca centrale europea, fissando il paletto decisivo nella complessa procedura di nomina del super controllore europeo delle banche. Può sorprendere che in tempi di scontro senza precedenti tra il governo Lega-M5s e Bruxelles sia un italiano, ancorché autorevole, a essere destinato a occupare la seconda più importante poltrona nella scena finanziaria continentale dopo il vertice dell’Eurotower.
A un esame più attento la sorpresa si scolora nel prevedibile. Enria, attualmente guida l’Eba, l’Autorità bancaria europea, ha battuto in corsa la concorrente Sharon Donnery, vicegovernatore della Bank of Ireland, per tre ragioni molto concrete, oltre che per la sua superiore caratura tecnica. La prima è che trasferendosi a Francoforte Enria libera una casella del risiko europeo, sulla quale si possono ora appuntare le attenzioni dei partner. Un’atout questo che Donnery non poteva offrire. La seconda è che ha fama di falco e di manager di grande indipendenza, caratteristiche che gli hanno permesso di ammorbidire le resistenze del blocco dei paesi nordici, Germania in testa, più inclini a nominare la Donnery anche per inviare un segnale all’Italia populista e ribelle. Enria non gode di grandi simpatie nel sistema bancario italiano e talvolta si è trovato in dissenso anche con le Autorità di vigilanza del suo paese. Culturalmente sembra più tedesco. L’indipendenza è anche il motivo che ha indotto la Lega – non così il M5s – a fare mancare il suo voto favorevole quando all’interno del Comitato per gli Affari economici e monetari del Parlamento europeo si è trattato di indicare alla Bce un nome per la presidenza della Vigilanza unica. “Non ci ha mai chiesto di appoggiarlo, non ci ha mai chiamato”, ha detto l’eurodeputato leghista (ex M5s) Marco Zanni. La terza ragione si chiama Mario Draghi. Il voto nel Consiglio direttivo è segreto, ma tutte le aspettative della vigilia andavano nella direzione di un voto favorevole del presidente. Il voto di Draghi probabilmente ha pesato negli orientamenti del Consiglio.
Nella decisione di mercoledì ci sono aspetti che travalicano l’ambito finanziario. Il primo è legato al posizionamento dell’Italia nello scacchiere europeo. Acquisita la presidenza del Ssm, cui oggi il ministero dell’Economia ha plaudito, e persa quella dell’Eba, per l’Italia il saldo nel risiko delle nomine per ora è zero. Ma il rischio in prospettiva è che questa nomina riduca le chance di Roma per conquistare un posto nel board della Bce. Sempre che il governo gialloverde mostri un interesse a giocare questa partita. L’impressione è che, anche qui, una stagione stia forse per concludersi: quella di un'Italia rappresentata a livello delle istituzioni comunitarie in proporzione al suo peso economico e politico. Nel corso del prossimo anno tre caselle importanti del sistema di potere europeo, la presidenza della Bce con Draghi, la poltrona di ministro degli Esteri della Ue e di vicepresidente della Commissione con Federica Mogherini, la presidenza del Parlamento con Antonio Tajani, non saranno più occupate da italiani. Questo senza tenere conto di posizioni di seconda linea come la presidenza della Commissione Affari economici e monetari con Roberto Gualtieri. E per la prima volta l’Italia potrebbe non essere rappresentata nel board dell’Eurotower. La vicenda della Vigilanza unica europea segnala infine un altro elemento interessante: la diversa posizione assunta dalla Lega e dal M5s sul nome di Enria. Dentro il comitato Affari economici e monetari infatti i M5s hanno appoggiato insieme al Pd, i Popolari e Alde la candidatura dell’italiano, al contrario della Lega. Indizio di quello che potrebbe essere il futuro comportamento delle due forze di governo nel prossimo Parlamento europeo. Ovvero uno contro l’altro.
Verso la legge di bilancio