Con il reddito di cittadinanza si ritorna alle pratiche feudali

Luciano Capone

Ritorno al passato. Non solo la terra per chi fa il figli, il sussidio da 780 euro immaginato da Luigi Di Maio prevede l’obbligo di donare al comune otto ore lavorative ogni settimana. Cos’è se non una nuova forma di corvée?

Roma. Quando si diceva che questo è il governo della nostalgia, del ritorno ai bei tempi andati, si pensava all’Italia degli anni Settanta-Ottanta. Ma l’idea di regalare terreni agricoli demaniali alle famiglie in attesa del terzo pargolo, ci riporta indietro all’età agricola e pre-industriale. Mancando completamente entrambi gli obiettivi del provvedimento, che sono incentivare la natalità e sviluppare l’agricoltura. Perché all’epoca il concetto era inverso, si distribuiva la terra per sfamare le famiglie numerose, mentre adesso si presume che la gente faccia figli per avere un terreno. E perché oggi l’agricoltura non è più quella di sussistenza, è un’attività imprenditoriale che non si improvvisa. L’Istituto Bruno Leoni ha definito “mezzadria di stato” questa proposta che “riecheggia vecchie soluzioni, come avvenuto ad esempio con la bonifica fascista dell’Agro Pontino”.

 

Ma il ritorno al passato del governo in tema di lavoro non si limita al Ventennio, va ancora più indietro, fino all’età feudale. Il reddito di cittadinanza nella sua complessa e contraddittoria costruzione prevede infatti l’obbligo di donare al comune otto ore lavorative ogni settimana. Cos’è se non una nuova – e non troppo moderna – forma di corvée? Non è proprio il lavoro gratuito che i servi della gleba svolgevano per il signore nel medioevo, ma somiglia molto alla corvée royale che nella Francia dell’ancien régime imponeva ai più poveri di contribuire alla manutenzione delle strade. 

 

Il lavoro di pubblica utilità organizzato dal comune è un aspetto marginale del reddito di cittadinanza, ma è importante per segnalare la confusione, l’incoerenza e l’inutile complessità di una riforma che avrà un impatto negativo sull’economia superiore ai costi strettamente monetari messi a bilancio nella Finanziaria. E soprattutto produrrà, come per ogni norma scritta e pensata male, effetti opposti a quelli desiderati e dichiarati.

 

Partiamo da questi. Qual è l’obiettivo del reddito di cittadinanza? Secondo gli estensori della norma gli obiettivi sono due: il primo è la lotta alla povertà assoluta e il secondo è il reinserimento nel mercato del lavoro attraverso l’opera dei nuovi centri per l’impiego. E’ già evidente che si tratta di condizioni molto differenti, che in genere hanno bisogno di strumenti diversi per essere risolte. Le povertà non sono tutte uguali: i senzatetto, i tossicodipendenti e le situazioni di fragilità e povertà estrema necessitano di un’assistenza diversa dai disoccupati; e neppure i disoccupati sono tutti uguali, ci sono quelli che escono da settori in crisi, quelli che vanno ricollocati, i disoccupati di lunga durata.

 

Il programma invece tratta tutti allo stesso modo: il cittadino bisognoso percepirà un sussidio da 780 euro su una carta bancomat (sicuri che tutti i poveri ce l’abbiano, sappiano procurarsela e usarla?) e nel frattempo entrerà in un percorso di formazione, guidato dai centri per l’impiego, per apprendere le nuove professionalità che il mercato richiede, in attesa che sia sempre il centro per l’impiego a proporgli le tre offerte di lavoro adeguate alla sua formazione. “Ci sono alcuni mestieri e alcune professioni che hanno una scarsa probabilità di essere scelti – ha detto Pasquale Tridico, consulente del ministro Luigi Di Maio proprio sul reddito di cittadinanza – proprio perché necessitano di un percorso lungo di formazione e molto specializzato. Molti studenti sono scoraggiati e dopo la laurea prendono il primo lavoro che capita. E’ possibile che uno studente utilizzi il reddito per formarsi e fare il lavoro che più gli piace, questo aumenterà l’efficienza e la produttività”.

 

Cosa c’entra tutto questo con i lavori socialmente utili per il comune? Questa terza e inutile complicazione, che impone una corvée, contraddice alla base l’obiettivo e la filosofia del reddito di cittadinanza. E non ha nessuno scopo se non quello di dire al resto della popolazione che le persone “non stanno sul divano”. Inoltre porta con sé un carico di contraddizioni e paradossi. Secondo Luigi Di Maio i lavori di pubblica utilità per il comune e i corsi di formazione dovrebbero servire a tenere le persone occupate tutto il giorno per impedire loro di svolgere attività lavorative in nero. La corvée è quindi anche una forma di intrattenimento, da parte di chi dà per scontato che una persona non si metterebbe alla ricerca di un lavoro vero (perché quello tocca trovarlo al centro per l’impiego) ma si metterebbe a lavorare in nero. In effetti l’intuizione è reale: per come è congegnato il reddito di cittadinanza a nessuno conviene trovarsi un lavoro, anche temporaneo o part-time perché per ogni euro guadagnato se ne perde uno di sussidio. Al contrario il lavoro nero è estremamente conveniente.

 

C’è poi un’altra contraddizione: la legge sul reddito di cittadinanza prevede che il centro per l’impiego possa proporre solo offerte di lavoro “congrue”, cioè in linea con il curriculum. La cosa paradossale però è che, mentre impone che il centro per l’impiego cerchi lavori “congrui” e possibilmente vicino casa, la stessa legge impone alle stesse persone di fare lavori gratuiti per il comune che non sono in linea con il loro curriculum. In pratica per un tecnico informatico un lavoro di pulizia delle aiuole non è “congruo” se viene offerto dietro remunerazione da un’azienda, mentre è obbligatorio e gratuito se lo richiede il comune. Questo altro aspetto crea un ulteriore paradosso: se i comuni riusciranno a organizzare il lavoro in maniera efficiente, avranno a disposizione una massa enorme di manodopera gratuita per le più svariate attività. E questo vuol dire che non servirà assumere dipendenti o fare gare d’appalto. Al giardiniere andrà peggio che al tecnico informatico: non troverà un posto di lavoro per sistemare le aiuole pubbliche perché c’è gente come lui che è obbligata a farlo gratuitamente.

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali