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Resurrezione Alstom

Mauro Zanon

L’azienda dei treni francese era l’orgoglio di De Gaulle. Dopo anni di crisi, si salverà con l’alta velocità e con un matrimonio franco-tedesco

A Belfort, si ricordano ancora con i brividi dello “choc” del 2016. Due anni fa, la chiusura dello storico stabilimento Alstom, che nel 1972 aveva sfornato le prime motrici del Tgv, sembrava imminente nonostante le rassicurazioni del governo. “La vostra attività ha un’importanza strategica per la Francia e dunque sarà difesa”, dichiarò nel maggio 2015 l’allora ministro dell’Economia, Emmanuel Macron. Ma la vendita, a fine dell’anno, della divisione energia agli americani di General Electric (Ge) – divisione che rappresentava i tre quarti del fatturato – piombò il gruppo in una crisi d’identità e di finanze senza precedenti, lasciando molte incognite sul suo futuro. Il 7 settembre del 2016 la direzione decise di presentarsi davanti ai suoi dipendenti di Belfort per annunciare che entro ventiquattro mesi il più importante sito industriale francese nella costruzione di treni avrebbe chiuso i battenti, che restavano certo alcune locomotive da costruire per l’Azerbaijan e la Svizzera, ma che la commessa per quarantaquattro motrici persa con Akiem, filiale della Sncf (ferrovie francesi), era stata un colpo troppo duro. “E’ inaccettabile”, gridò all’epoca il primo ministro, Manuel Valls.

 

Lo stato ha piazzato una commessa miliardaria per costruire i “TGV del futuro”, di fatto salvando l’azienda

L’unione con Siemens è osteggiata dai sovranisti, ma creerà il più grande campione europeo del settore trasporti

Inaccettabile perché la storia di Belfort era legata a doppio filo alla storia di Alstom, il gioiello dell’industria esagonale che aveva portato la grandeur sulle rotaie, perché quella cittadina tra Lione e Strasburgo, tra la Borgogna e l’Alsazia, era stata la “capitale europea” della locomotiva elettrica e i record di velocità delle motrici “made in Belfort” – 574,8 km/h nel 2007 – erano un motivo di orgoglio non solo per i suoi 50mila abitanti, ma per tutta la Francia. Per François Hollande, allora presidente della Repubblica, nonché l’uomo che aveva promesso di “invertire la curva della disoccupazione”, l’addio di Alstom da Belfort sarebbe stato una macchia indelebile del suo quinquennio. Così, in quelle settimane concitate, dimenticò tutti gli altri dossier che circolavano all’Eliseo. Il salvataggio di Belfort era la priorità e a ottobre 2016 arrivò l’annuncio felicemente inatteso: lo stato ordinò 15 Tgv Duplex per le linee Bordeaux-Marsiglia e Montpellier-Perpignan e sei altri treni per la linea Parigi-Lione-Torino. “Grazie alla mobilitazione dello stato e l’impegno di tutti, lo stabilimento Alstom di Belfort è salvo!”, twittò entusiasta Valls. Ma la notizia più importante per gli “Alsthommes”, come si sono ribattezzati i dipendenti dell’azienda nata nel 1928 in Alsazia, è arrivata qualche settimana fa. Guillaume Pepy, amministratore delegato della Sncf, ha ufficializzato un ordine da 3 miliardi di euro, che comprende la costruzione di cento Tgv di ultima generazione e terrà impegnati i lavoratori almeno fino al 2033. “E’ una decisione storica. E’ la più grande commessa di Tgv della storia di Francia”, ha dichiarato con toni trionfali il boss delle ferrovie francesi. Ma è soprattutto una boccata d’ossigeno per Alstom, protagonista negli ultimi trent’anni di una storia tormentata di crisi e ricapitalizzazioni, fusioni salvifiche e acquisizioni improvvide. “Questa commessa è il risultato del grande lavoro tra la Sncf e Alstom, che risponde alle sfide tecnologiche, economiche e di competitività della Sncf”, ha commentato Henri Poupart-Lafarge, amministratore delegato dell’azienda leader in Francia nella costruzione di materiale ferroviario.

 

Negli ultimi mesi, nonostante un netto miglioramento della situazione finanziaria – 475 milioni di euro di utile netto nell’esercizio 2017-2018, pari a un aumento del 64 per cento rispetto all’anno precedente, e 8 miliardi di fatturato – c’era una certa inquietudine tra i dirigenti di Alstom. Perché dopo le dichiarazioni di marzo del ministro dell’Economia, Bruno Le Maire, che aveva garantito un annuncio imminente da parte della Sncf, c’è stato un lungo silenzio. I rumors attorno alla rinuncia da parte delle ferrovie francesi di comprare i cento “Tgv del futuro”, perché prima c’era da ristrutturare l’azienda, tagliare e snellire il suo corpo salariale, si sono susseguiti fino alla vigilia della delibera di Sncf Mobilités, la divisione della Sncf che si occupa della circolazione dei treni. Per questo, la conferma ufficiale della maxi commessa è stato un sospiro di sollievo, anche per i sindacati. Patrick de Cara, delegato dell’organizzazione sindacale Cfdt, si è detto soddisfatto in un colloquio con Libération, lui che due anni fa era tra i capofila della rivolta degli Alsthommes contro le prospettive nefaste avanzate dalla dirigenza. Lo stesso, tuttavia, ha sottolineato la necessità per l’azienda di “assumere dei giovani” in vista dei prossimi quindici anni di lavoro, per rimpiazzare i saldatori, i ramai e gli operai che si occupano del cablaggio, che progressivamente andranno in pensione. Ma questo, ora, sembra un problemuccio rispetto agli ostacoli quasi insormontabili che si erano presentati ai dipendenti di Belfort a fine estate 2016. Il clima che si respira oggi in azienda non è certamente quello delle Trente Glorieuses, quando Alstom era un campione mondiale di innovazione e avanguardia senza concorrenti, ma la commessa mastodontica con la Sncf ha comunque infuso una dose di ottimismo che mancava da troppo tempo. Difficile, del resto, non essere ottimisti, quando i numeri dicono che i cento “Avelia Horizon”, così si chiameranno i nuovi Tgv, garantiranno lavoro per almeno dieci anni a 4mila dipendenti del gruppo di materiale ferroviario alsaziano, pari alla metà dell’intero corpo salariale in Francia. A essere impegnata nella costruzione del “Concorde delle rotaie”, come è già stato soprannominato a Parigi, non sarà soltanto Belfort, che, come da tradizione, costruirà le motrici, ma anche gli altri siti francesi di Alstom. A La Rochelle, sulla costa atlantica, verranno progettati i vagoni, a Tarbes, nel sud-ovest, si affineranno i sistemi di trazione, a Ornans, nel cuore della Borgogna, verranno prodotti i motori, e a Le Creusot, a pochi chilometri di distanza, avverrà l’assemblaggio della cassa finale sui carrelli. “Il Tgv del futuro è un’innovazione che partirà da qui”, disse Macron, da ministro dell’Economia, in visita al sito di Belfort, nel 2015.

 

L’attuale presidente Macron, da ministro, acconsentì alla vendita del settore energetico a Ge. Rivendica ancora quella scelta

Alstom era al centro dei grandi progetti industriali e dei piani di modernizzazione del paese. I benefici del programma nucleare

E così sarà.

 

Alstom è la storia industriale della Francia, un’epopea esagonale. E’ stato al centro della modernizzazione del paese, il fiore all’occhiello degli anni Pompidou e non solo in ambito ferroviario, ma anche nel settore navale e energetico, così come nelle centrali nucleari. La storia di Alstom, che in Italia è il costruttore dei treni Italo, inizia nella seconda metà del Diciannovesimo secolo, a Mulhouse, nel nord-est della Francia, con la produzione di locomotive da parte della Société alsacienne de constructions mécaniques (Sacm). Con l’annessione dell’Alsazia e la Lorena nel 1871, la produzione si sposta a Belfort, che diventerà da allora la sede storica. E’ lì che tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento vengono fabbricate le migliori turbine per centrali elettriche di Francia. Il 1928 è l’anno cruciale per il futuro del costruttore francese. Sacm decide di fondersi con Thomson-Houston, società franco-americana specializzata nei motori e gli equipaggiamenti elettrici, e dalla loro unione sorge Als-Thom, contrazione di ALSace-THOMson (la “h” cadrà nel 1998 con la quotazione in Borsa, diventando definitivamente Alstom). Nel 1932, entra già nel mito: costruendo, per conto della Compagnie générale transatlantique, i motori del Normandie, il maestoso transatlantico francese che al momento della sua prima traversata era il più grande al mondo. Alla fine della Seconda guerra mondiale, Alstom partecipa attivamente alla ricostruzione. “All’epoca, c’era molto da fare. E Alstom è diventato il fornitore di turbine dell’Edf (la maggiore azienda produttrice e distributrice di energia in Francia, ndr) e di motrici per la Sncf”, ha raccontato al quotidiano La Croix Dominique Barjot, professore di Storia industriale all’Università Paris IV. “Più tardi, il potere gollista ha cercato di stimolare le esportazioni dei grandi gruppi francesi. Alstom era al centro dei grandi progetti industriali che de Gaulle vendeva chiavi in mano all’estero. La società ha beneficiato anche del lancio del programma nucleare negli anni Settanta”, ha aggiunto Barjot. Nel 1969, Alstom entra nel gruppo della Compagnie générale d’électricité (Cge), attore di primo piano negli equipaggiamenti elettrici, e si ritrova al centro di un vasto conglomerato coinvolto in tutti i grandi programmi di modernizzazione della Francia, dai trasporti all’energia, fino all’informatica, allo sviluppo delle linee telefoniche e alla costruzione di grandi imbarcazioni. Nel 1976, quattro anni dopo il concepimento delle prime motrici del Tgv a Belfort, Alstom ingloba i Chantiers de l’Atlantique, i celebri cantieri navali di Saint-Nazaire dove si costruiscono le navi militari Mistral e navi da crociera come la Harmony of the Seas, passati da poco sotto il controllo dell’italiana Fincantieri. Ma dopo gli anni d’oro della Cge guidata da Ambroise Roux, padrino del capitalismo francese durante le Trente Glorieuses e consigliere ombra di Pompidou, inizia il periodo più difficile. All’alba degli anni 2000, il campione industriale francese è nella fase più dura della sua esistenza: indebitatosi pesantemente in seguito a una serie di acquisizioni sbagliate, a partire dall’azienda elvetico-svedese Abb, è sull’orlo del fallimento. Soltanto un energico intervento dello stato nel 2003 e l’arrivo di un manager come Patrick Kron al vertice dell’azienda salveranno Alstom da una morte annunciata: gli effettivi passano da 110mila a 65mila e nel 2006 vengono ceduti i Chantiers de l’Atlantique. Il 2014, è l’altra data chiave della storia recente di Alstom. Perché sulla scrivania di Arnaud Montebourg, ex ministro dell’Economia con idee colbertiste, arriva la notizia che gli americani di General Electric vogliono acquisire la divisione energia di Alstom. Montebourg è preoccupatissimo, e subito parla di “vigilanza patriottica”. Poi nel maggio 2014 pubblica il “decreto Alstom”, che permette allo stato francese di proteggere le imprese strategiche dagli appetiti stranieri. Ma in estate, Hollande lo caccia dal ministero dell’Economia per una frase di troppo sulle politiche social-liberali del governo. Al suo posto, arriva un 36enne che all’epoca è ancora uno sconosciuto: Emmanuel Macron, che nel novembre 2014, nonostante una controfferta della cordata Siemens-Mitsubishi, autorizza la cessione delle attività energetiche a Ge. Da quel momento in poi, Alstom si concentrerà solo sulle attività ferroviarie con lo stato francese come azionista di riferimento, attraverso una quota del 20 per cento prestata dal gruppo Bouygues. Alla luce della concorrenza spietata dei colossi cinesi e americani nel settore dell’energia, “lo status quo non era una soluzione percorribile”, si è sempre difeso Macron dinanzi a chi lo accusa di essere il “becchino di Alstom”. Ma oggi, gli stessi sono più silenziosi dopo la commessa da 3 miliardi di euro della Sncf, anche se il presidente sottolinea che “l’idea di risolvere certe situazioni soltanto attraverso ordini pubblici, è una pista ingannevole a medio e lungo termine”. Per questo, nell’ottobre 2017, con la sponsorizzazione degli esecutivi di Parigi e Berlino, sono state messe le basi per il matrimonio franco-tedesco più importante degli ultimi anni: quello tra Alstom e Siemens Mobility, la divisione della società tedesca che si occupa delle attività ferroviarie. Dalla fusione delle due aziende, che attende soltanto il placet del Commissario europeo per la concorrenza Margrethe Vestager, nascerà un colosso dei treni che avrà sede e quotazione a Parigi e il 50 per cento delle azioni in mano a Siemens, un “Airbus delle rotaie” che anela a diventare il numero uno mondiale del settore ferroviario. Per la destra francese, che preferiva un avvicinamento alla canadese Bombardier, questo matrimonio non s’ha da fare. “Sarà un campione tedesco!”, gridano i sovranisti d’oltralpe. No, sarà un meraviglioso campione europeo.

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