Susanna Camusso (foto LaPresse)

E' il primo Primo Maggio in cui la Cgil è eclissata dalle 5 stelle

Giuliano Cazzola

Il sindacato di Camusso ha pagato con il voto degli iscritti l’avere contribuito all’ascesa di Di Maio & Co.

“Sarà il primo Primo Maggio senza una sinistra politica. Per più di un secolo il mondo del lavoro ha avuto un suo partito, un riferimento parlamentare, ma dopo il 4 marzo non ce l’ha”. Così ha scritto Antonio Polito sul Corriere della sera. E se invece la Festa del Lavoro divenisse l’occasione per darselo un nuovo partito attraverso l’investitura, da parte della “grande madre Cgil, del M5s quale forza nata da una costola della di sinistra?” La parte del ragazzo che svela la nudità del sovrano l’ha svolta Rosario Rappa (componente della segreteria nazionale della Fiom-Cgil).

 

Rappa, già elettore del Prc, ha ammesso, in un’intervista al Diario del lavoro, di aver votato, il 4 marzo, per il M5s, riconoscendo a questa forza politica un particolare impegno a favore dei lavoratori. Il caso di questo sindacalista ha girato l’Italia come se si trattasse della classica notizia dell’uomo che morde il cane. Invece, magari a sua insaputa, Rosario Rappa risulta essere uno dei dirigenti sindacali più rappresentativi di tutta la Cgil.

 

Da una ricerca commissionata da Susanna Camusso all’Istituto Tecnè è emerso che il 33 per cento degli iscritti alla confederazione ha votato per i pentastellati mentre il 10 per cento per la Lega (interessante in proposito anche la scheda sull’esito del voto nei distretti industriali pubblicata dal Foglio del 10 aprile in allegato a un articolo di Marco Fortis). Considerando che tra i pensionati il Pd ha tenuto, se si facesse riferimento alla sola platea dei lavoratori attivi – circa la metà del totale – queste percentuali sarebbero ancora più elevate. Tuttavia, i lavoratori che hanno abbandonato in massa i partiti tradizionali, non hanno ritirato in analoga misura la loro adesione al sindacato di Corso d’Italia. Almeno per ora: anche se il sindacalismo radicale di base ha cominciato a penetrare, da tempo, in settori (dell’industria e dei servizi) dai quali era escluso.

 

Serve un esame di coscienza nel sindacato di Camusso e Landini. Ha contribuito – con i suoi atti, le sue politiche – a dettare il programma del M5s (e della Lega) e a dare carburante al populismo. Ha precorso i tempi e ora non è più assurdo trovare endorsement a Di Maio. Di certo la Piazza non è più sua

Uno dei più brillanti sindacalisti della nuova generazione, Alessandro Genovesi, sempre sul Diario del lavoro, ha tirato le somme del dibattito in corso, ammettendo che, a suo avviso, il voto del 4 marzo pone alla Cgil “un problema nuovo: come riportiamo i nostri, spaventati, arrabbiati, delusi, consegnati a una visione individualista o populista, come li riportiamo a una dimensione di impegno collettivo democratico e progressista. E questo ci spinge a capire come dobbiamo posizionarci davanti alla politica’’. Poi si domanda ancora il segretario degli edili: “Se con questo voto si evidenzia la scissione tra i gruppi dirigenti del sindacato, che hanno votato tutti per i partiti di centrosinistra, e il mondo del lavoro dipendente, anche quello pubblico, che ha trovato normale avere in tasca la tessera della Cgil e votare 5 stelle o Lega’’.

 

Ma deve proprio destare sorpresa quanto è avvenuto nella cabina elettorale? La proprietà transitiva si applica anche nei rapporti politici: se A=B e B=C, anche A=C. Mettiamoci nei panni di un lavoratore militante, iscritto o anche soltanto orientato dalla Cgil e chiediamoci – considerando la linea di condotta di questo sindacato nei confronti del governo e del Pd – per chi avrebbe dovuto votare il 4 marzo. Per ‘Liberi e uguali’, il partito nei fatti sponsorizzato dal gruppo dirigente? Ma si può pretendere di imbarcare milioni di lavoratori – in cerca di un approdo diverso – su di una “zattera della Medusa’’ in cui sono raccolti i naufraghi di tutte le Caste sinistrorse? A questo stesso lavoratore e ai suoi colleghi (magari un po’ seccati per essere costretti ad andare in pensione qualche mese più tardi) hanno spiegato per anni di essere vittime di un abuso perpetrato dalle sciagurate politiche d’austerità, senza darsi minimamente cura (come dovrebbe fare un sindacato responsabile) di accennare agli squilibri demografici e ai loro effetti sulla sostenibilità del sistema e sul mercato del lavoro stesso.

 

Per di più a questi lavoratori hanno spiegato che la “perfida’’ Elsa Fornero li costringeva ad occupare un posto di lavoro che sarebbe potuto andare al figlio disoccupato, condannato, invece, ad un’eterna condizione di precarietà per colpa del Jobs Act e della “abrogazione’’ dell’articolo 18. Chi ha definito “pizzini’’ uno strumento semplice e trasparente come i voucher, anche a costo di incentivare il lavoro nero? E chi ha protetto quegli insegnanti che – assegnati stabilmente a cattedre vacanti, magari lontano da casa – non si sono vergognati di definirsi “deportati’’? La Cgil ha contribuito – con i suoi atti e le sue politiche – a dettare il programma del M5s e della Lega (magari Matteo Salvini ci ha infilato qualche slogan “politicamente scorretto’’ ma risultato non particolarmente sgradito: “Fuori i clandestini’’; “Ruspa per i campi rom’’; “No alle delocalizzazioni’’). Non è consentito ai dirigenti della grande Confederazione di Luciano Lama di stupirsi del fatto che i lavoratori li abbiano presi sul serio e siano andati a cercare quei partiti che promettevano le medesime cose per le quali il loro sindacato aveva protestato e lottato. Ecco perché non c’è bisogno di andare a “riprendere i lavoratori’’ (per riportarli dove?); è più semplice “passare’’, armi e bagagli, all’ex nemico pentastellato, il quale ha preso persino sul serio la Cgil a proposito della “Carta dei diritti universali del lavoro’’. Rosario Rappa, pertanto, è un precursore.

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