(foto LaPresse)

Il Leone di Trieste non può vivere in gabbia

Stefano Cingolani

Le Generali sono state il frutto della borghesia ebraica che in Italia come in tutta Europa ha segnato la storia moderna. Un libro ripercorre la vocazione cosmopolita della compagnia. Un messaggio anche per il presente

Sostiene Carlo Calenda, ministro dello sviluppo economico, che le Assicurazioni Generali sono strategiche, un bene nazionale come tale da tutelare ogni volta che si presentano mani predatrici. Impossibile dargli torto. Dalla loro nascita nel 1831 sono diventate il salvadanaio dell’Italia del nord, ne hanno alimentato la crescita e il benessere, ne hanno difeso il risparmio canalizzandolo verso grandi progetti industriali e infrastrutturali (dal Canale di Suez fino alla ricostruzione dopo la seconda guerra mondiale). Persino durante l’impero austro-ungarico, al quale Trieste rimase fedele, la compagnia aveva una impronta italiana a cominciare dal logo dove l’aquila bicipite degli Asburgo venne sostituita dal leone di San Marco.

 

Tuttavia le Generali sono anche un campione europeo, della Mitteleuropa innanzitutto, ma non solo: dai Balcani al Medio oriente fino alle Americhe, una vocazione cosmopolita ha accompagnato la vita della compagnia. Lo dimostra, con testimonianze tratte dal ricchissimo archivio, il doppio volume riccamente illustrato (“Generali nella storia”) edito presso Marsilio, un libro prezioso per conoscere quasi due secoli di economia italiana, quanto meno di quell’Italia che aveva cominciato la propria modernizzazione prima dell’unità.

 

Ma c’è un altro aspetto determinante che s’impone e spesso è rimasto nell’ombra: le Generali fin dal loro esordio, sono state il frutto intellettuale, prima ancora che finanziario, di quella borghesia ebraica che anche in Italia come in tutta Europa ha segnato la storia moderna. Ebrei ed europei. E l’Europa li ha ricambiati con l’antisemitismo e l’olocausto. Leone Pincherle, Marco Besso, Masino Levi, Vitale Laudi e Wilhelm Lazarus che hanno dato un contributo fondamentale allo sviluppo del calcolo attuariale, Edgardo Morpurgo, Fabio Padoa, sono solo alcuni dei nomi e dei volti (in ritratti e fotografie) che balzano dai due volumi con il piglio dei protagonisti. “Una cittadella giudaica”, così Il Popolo di Trieste definì le Generali nel 1938 quando le leggi razziali costrinsero alle dimissioni Morpurgo (e pensare che Mussolini quattro anni prima voleva nominarlo senatore del Regno).

 

Con queste vicende e questi personaggi il libro dal passato ci conduce al futuro, perché la compagnia, una delle prime in Europa e tra le maggiori al mondo, non può esistere senza essere ad un tempo nazionale e internazionale. Il ministro Calenda voleva levare un monito contro le scalate ostili più volte tentate soprattutto negli ultimi decenni, vero incubo per quel che rimane dell’alta finanza italiana. Eppure, la storia ci lancia un messaggio preciso: il leone non può vivere in gabbia, tanto meno il Leone di Trieste.

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