LaPresse/Guglielmo Mangiapane

Il bilancio grillino alla Camera sembra quello della Grecia pre crisi

Renzo Rosati

Se il M5s fosse un'azienda, sarebbe fuori mercato. Problemi anche per il Pd e Forza Italia, ma non ai livelli pentastellati

Roma. Se fosse un’azienda sarebbe fuori mercato e nessuno vorrebbe farle credito. Il gruppo del Movimento 5 stelle alla Camera ha infatti presentato l’ultimo bilancio consolidato (il 2016) con un disavanzo annuo di 0,484 milioni di euro su introiti patrimoniali di 2,991 milioni. Ovvero il 16,19 per cento. Il dato paragonabile è il Roe, return of equity, principale indicatore di redditività o di rischio noto a tutti gli studenti di economia: cioè il risultato di gestione rispetto al capitale. Se invece fosse uno stato e, poniamo, oggi i grillini governassero l’Italia (come si candidano a fare) con gli stessi criteri con i quali già amministrano i fondi pubblici parlamentari, ci troveremmo con un deficit di quattro punti peggiore di quello che nel 2009 portò la Grecia alla bancarotta e all’austerity.

  

Dai bilanci depositati presso l’ufficio di presidenza di Montecitorio e tutti certificati dalla Compagnia europea di revisione con sede a Roma – scelta dalla Camera come agenzia indipendente – emergono disavanzi anche per il Pd e Forza Italia (ex Pdl), ma non nell’ordine di quello a cinque stelle. Il partito di Matteo Renzi su introiti patrimoniali di 7,558 milioni evidenzia un disavanzo di gestione di 0,528 milioni, cioè il 6,9 per cento. Forza Italia ha uno “sbilancio” di 79 mila euro su introiti di 2,63 milioni, il tre per cento. Tutte le altre liste hanno più o meno una gestione virtuosa. Da che cosa provengono introiti e deficit? I primi essenzialmente dai ratei del contributo pubblico erogato in base ai deputati eletti e successivamente rapportato a partenze e arrivi: i grillini evidenziano i rimborsi elettorali quali uniche voci in entrata sia nel 2016 sia nel 2015, rispettivamente per 3,78 e 3,84 milioni, “non essendo intervenuta variazione numerica tra i 91 deputati iscritti”, come scrive nella relazione contabile la tesoriera Laura Castelli. Il che smentisce una volta per tutte che il Movimento abbia “restituito agli italiani” il contributo, come ogni tanto qualcuno di loro ama dire senza contraddittorio. Eppure, nel bilancio i 5 stelle scrivono testualmente che “il gruppo opera come associazione non riconosciuta senza scopo di lucro”, auto-esonerandosi (“non avendo recepito in automatico”) dall’osservanza della legge 139 del 2015: cioè la riforma che recepisce le direttive europee in materia di trasparenza contabile per soggetti pubblici e privati. A ulteriore conferma, i grillini rimandano, tramite link, al loro statuto. Che è poi l’atto costitutivo del 2013 dell’Associazione Movimento 5 stelle, con sede a Genova in via Boccadaglia, con soci Beppe Grillo, il nipote avvocato Enrico Grillo, il commercialista Enrico Maria Nadasi, ai quali si era poi aggiunto lo scomparso Gianroberto Casaleggio.

   

Quanto alle uscite, come per tutti i gruppi parlamentari, vengono principalmente dai dipendenti, anche questi in proporzione al numero dei deputati. Quelli dei grillini sono 49, compresi tre part-time, più un “comandato” dalla pubblica amministrazione. Ma tra le spese più propriamente politiche spiccano 52.655 euro di consulenza al sociologo Domenico De Masi “inerente l’evoluzione post industriale tra il 2016 e il 2025 i cui risultati sono stati illustrati nel convegno alla Camera il 18-19 gennaio 2016”. De Masi sostiene che in Italia si lavora troppo, chiede la riduzione dell’orario di lavoro e che “gli occupati cedano spazio ai disoccupati”, e che però questi prestino la loro opera gratis. Strizza l’occhio alla decrescita e suggerisce il reddito di cittadinanza. Dunque il suo nome è stato spesso esibito come possibile ministro di un governo grillino. Per ora ha fatto il consulente, retribuito. Un po’ come attualmente è impegnato nella campagna del consorzio del vino Franciacorta. Naturalmente, neppure il Pd ha molto di cui rallegrarsi. Il contributo pubblico è in diminuzione anche per il susseguirsi di scissioni, mentre i dipendenti sono ben 148 (costo 10,9 milioni) ed i 2,7 milioni spesi in comunicazione e per la campagna per il Sì al referendum non pare abbiano dato i frutti sperati. Ma si sa, per dirla alla grillina, quella è roba da vecchi partiti.

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