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I bitcoin dovevano fare la rivoluzione, sono diventati una mania per ricchi

Eugenio Cau

E' cominciato lo scambio di futures alla Borsa di Chicago e il valore della criptomoneta si è di nuovo impennato 

Roma. C’è stato un tempo recentissimo, fino a qualche anno, perfino qualche mese fa, in cui gruppi nutriti delle comunità più underground di internet pensavano che i Bitcoin avrebbero redento la finanza, cambiato le regole del libero mercato e, infine, rivoluzionato la società. C’erano – e ci sono ancora – sparse per il mondo comunità utopiche in cui le criptomonete come il bitcoin avevano sostituito la valuta corrente, e in cui si viveva il sogno di una finanza priva del vincolo della fiducia, in cui ogni cittadino di Utopia può comprendere come nasce e dove si muove il denaro. Il bitcoin era al centro di questo movimento e il sistema che gli sta dietro, la blockchain, era considerata il primo passo della rivoluzione. Nella sua essenza, la blockchain è un sistema di democratizzazione della fiducia. Se il valore delle monete tradizionali è stabilito a tavolino da enti come le Banche centrali, il valore del Bitcoin è stabilito da una rete formata da tutti gli utenti/controllori della criptomoneta. Non ci sono autorità centrali e tutto è controllato a livello di comunità. E’ facile capire perché questa tecnologia ha solleticato le fantasie di utopici e libertari di tutto il mondo.

  

Dal 2008 a oggi, migliaia di persone hanno pensato che, se si poteva costruire una moneta su base condivisa, allora si poteva costruire una società su base condivisa, in cui ogni decisione politica sarebbe stata validata dalla rete di tutti gli utenti – un sogno un po’ grillino, ma fatto bene e senza Rousseau. Fast forward a oggi: bitcoin, la moneta democratica, si è trasformato in una bolla speculativa, e del sogno di società utopica fondata sulla blockchain si è persa ogni traccia. Su The Outline, Adrianne Jeffries ha delineato perfettamente il problema con una frase iconica: “La criptomoneta avrebbe dovuto soppiantare l’industria finanziaria. Invece l’ha replicata”.

 

La notizia che è cominciato lo scambio di futures sui bitcoin alla Borsa di Chicago, con conseguente ed ennesima impennata del valore della criptomoneta, è una prova ulteriore: bitcoin era nato per fare la rivoluzione – o, quanto meno, per rispondere a un sogno libertario e anarcoide – ed è diventato “uno schema per diventare ricchi in fretta” (parole di Jeffries) monopolizzato da miliardari siliconvalleyani e hacker cinesi chiusi negli scantinati di Shenzhen. Il bitcoin doveva eliminare gli enti centrali e i middlemen e ha finito per crearne di nuovi, generando un’industria di broker e fornitori di servizi legati alla criptomoneta che rivaleggiano con i fornitori di servizi finanziari tradizionali. E per quanto riguarda il dato politico, forse il più interessante, ormai il sogno utopico e un po’ grillino è finito al macero. Nessuno più crede che la blockchain possa salvare la democrazia, e nelle comunità anarcoidi dove si usavano bitcoin come moneta oggi sono tutti milionari, e il tema della democratizzazione del consenso è passato in secondo piano, per così dire.

 

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  • Eugenio Cau
  • E’ nato a Bologna, si è laureato in Storia, fa parte della redazione del Foglio a Milano. Ha vissuto un periodo in Messico, dove ha deciso di fare il giornalista. E’ un ottimista tecnologico. Per il Foglio cura Silicio, una newsletter settimanale a tema tech, e il Foglio Innovazione, un inserto mensile in cui si parla di tecnologia e progresso. Ha una passione per la Cina e vorrebbe imparare il mandarino.