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Uno stress test per la Bce
Per accendere l’inflazione, la leva dei tassi oggi può essere controproducente
I risultati del nuovo stress test della Banca centrale europea sui maggiori 110 istituti di credito dell’Eurozona non portano cattive sorprese. Né avrebbero potuto: i bilanci sono stati sottoposti a scenari di choc sui tassi da qui al 2019 e nell’ipotesi media di 200 punti di aumento i guadagni superano le perdite causate dagli stessi bond bancari. Anche per i dieci istituti italiani coinvolti: che invece sono ancora agitati dalle nuove linee guida sui Non performing loans (Npl), i crediti deteriorati, benché la rigidità iniziale sia oggetto di trattativa e precisazioni (“Servono per accelerare l’Unione bancaria. Riguardano tutta l’Europa. Non sono misure pensate per un solo paese”, ha detto Yves Mersch, membro del comitato esecutivo della Bce, a Milano, rispondendo indirettamente alla levata di scudi in Italia). Il punto però è un altro. La sensazione è che l’Eurotower abbia testato soprattutto se stessa, promuovendosi. Siamo infatti alla vigilia della fine del Quantitative easing, ma non di uno choc dei tassi i quali, parole di Mario Draghi, resteranno a lungo a zero o quasi; mentre anche negli Stati Uniti il rialzo è minimo. E questo perché l’inflazione (target principale) non cresce come ci si desidera. Così la bolla finanziaria, che tanto preoccupa Wolgang Schäuble in uscita dal governo tedesco, sarà assorbita più dalla fine degli acquisti di obbligazioni che dal ritorno dei consumi come li ricordiamo fino al 2008. Crescere senza inflazione sembra il massimo, invece è causa ed effetto di bassi salari e tenore di vita. Stress test per risolvere l’enigma? Se solo le Banche centrali avessero gli algoritmi giusti.


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