Assemblea dei soci di Veneto Banca nel 2015 (foto LaPresse)

Banche elettorali

Luciano Capone

Ragioni per risolvere il guaio delle banche venete seguendo più il metodo Mps che il metodo Di Maio

Roma. L’accordo annunciato ieri tra la Commissione europea e il governo sui princìpi alla base della ricapitalizzazione precauzionale del Monte dei Paschi spinge verso la soluzione del più rilevante problema del sistema bancario italiano. Viene autorizzato l’intervento pubblico insieme a un incisivo piano di ristrutturazione per ripulire il bilancio dalle sofferenze, a un tetto ai compensi dei top manager (10 volte il salario medio dei dipendenti Mps) e al burden sharing per azionisti e obbligazionisti subordinati. Inoltre, per gli obbligazionisti subordinati retail vittime di vendite non corrette (mis-selling) è previsto uno schema di compensazione separato dalle regole europee sul burden sharing.

 

 

I termini dell’intesa, raggiunta dopo mesi di negoziati, possono essere rivendicati come un successo sia dalla commissaria alla Concorrenza Margrethe Vestager sia dal ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan: Bruxelles ha affermato il principio del rispetto delle regole europee (tutto avverrà dentro la cornice della direttiva Brrd), mentre Roma è riuscita ad aprire uno spiraglio nelle norme europee con il rimborso per gli obbligazionisti che hanno subito mis-selling. Non sarà un trattamento “todos caballeros” per un’intera categoria di investitori, ma di un riacquisto a carico della banca dopo la valutazione di ogni caso. Si tratta di uno spiraglio nelle regole europee, non si sa ancora quanto largo, dove si tenterà di infilarsi per dare sollievo a una platea più o meno ampia di risparmiatori-investitori.

Superato il capitolo Mps, resta aperto quello di Popolare Vicenza e Veneto Banca che è molto meno rilevante per il peso sul sistema bancario ma di più difficile soluzione.

 

 

Per le banche venete il percorso delineato per Mps non sembra percorribile. Perché, nonostante dopo l’accordo ci sia “più spazio per lavorare” sul dossier, lo stesso cda di Bpvi ha ammesso mesi fa la necessità di un “rafforzamento patrimoniale” garantire “la continuità aziendale”. Ma secondo le direttiva europea la continuità aziendale è una precondizione per ottenere la ricapitalizzazione precauzionale (che non può essere intesa come un salvataggio di un istituto a rischio di solvibilità, ma come un giubbotto di salvataggio in caso di scenario avverso).

 

C’è bisogno quindi di un aumento di capitale, il cui importo è discutibile ma comunque dovranno arrivare soldi privati. Non li metteranno i fondi Atlante, probabilmente alla fine ci sarà un intervento delle Poste con i soldi dei suoi risparmiatori. In ogni caso, oltre ai problemi di breve termine, le banche venete dovranno fare anche una profonda ristrutturazione per garantire una prospettiva di redditività di medio termine. La strada quindi è più stretta e accidentata, ma comunque percorribile, e in ogni caso non pericolosa per l’intero sistema bancario come era Mps.

 

“Il problema delle banche venete è un caso incancrenito ma non è rappresentativo di tutto il sistema – dice al Foglio Francesco Daveri, economista della Cattolica – secondo il quadro riassunto dal governatore di Bankitalia Ignazio Visco i crediti deteriorati non sono 350 miliardi ma la metà, perché la ripresa aiuta a mettere a posto le cose. Di questi 170 miliardi le sofferenze vere e proprie ammontano a 80 miliardi, che però sono in gran parte in banche con condizioni patrimoniali decenti. Il succo della storia è che rimangono 20 miliardi sui quali veramente possono incorrere perdite vere e le banche venete rientrano in questo cappello”. Questo non vuol dire che non ci siano criticità, ma che la questione va ridimensionandosi dall’inizio della ripresa: “Il problema delle banche non è risolto – dice Daveri – ci vorranno anni, forse non si può dire neppure che il bicchiere è mezzo pieno, ma che almeno si vede da dove cominciare a riempire il bicchiere”.

 

 

Certo è strano che in questo avvio di campagna elettorale, in cui si parla molto di vitalizi e vaccini, si discuta poco di questioni fondamentali come lo stato di salute del sistema bancario. Ma forse è anche un bene, visto che quando se ne parla è solo per avanzare proposte populiste e banche del popolo. “Siamo ormai entrati in questa fase di fibrillazione elettorale – dice l’animatore del sito lavoce.info – ma ci deve pur essere un limite. Quando si sente un potenziale premier come Di Maio auspicare la nazionalizzazione delle banche per dare credito agevolato a famiglie e imprese, ci sarebbe bisogno che qualcuno ricordi al giovane Di Maio a chi andavano a finire i soldi quando le banche erano nazionalizzate: agli amici della politica”. Che poi il credito politico “agli amici degli amici” è proprio ciò che anche i grillini contestano alla gestione delle banche in difficoltà. Non è una contraddizione logica? “Sì, ma mi pare che in questo momento la logica sia nettamente minoritaria”.

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali