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Perché scricchiola la fusione tra London Stock Exchange e Deutsche Boerse

Francesco Galietti

Al centro della disputa l'infrastruttura di debito sovrano per l'Italia

Non è ancora chiaro quali siano le reali intenzioni del governo sullo shopping straniero in Italia. Indiscrezioni stampa parlano di un ritocco alla disciplina sull’OPA, da operare tramite un emendamento al DDL Concorrenza fermo da tempo in parlamento. Altre ipotesi chiamano invece in causa la “golden power”, cioè la disciplina che regola il vaglio preventivo e l’eventuale veto governativo su operazioni che interessano asset strategici e per le quali a contare non è la presenza italiana nell’azionariato bensì la rilevanza ai fini dell’interesse nazionale. La “golden power”, inoltre, si estenderebbe anche agli asset finanziari, finora non considerati strategici.

 

Particolarmente attivo, all’interno del gabinetto Gentiloni, appare Carlo Calenda, che nel giro di pochi giorni ha prima firmato una lettera assieme ai propri colleghi di Germania e Francia contro le baldanze di investitori extra-UE, e poi annunciato modifiche normative da incidere nel corpo vivo – si fa per dire – del DDL Concorrenza.

 

Il destino, si direbbe, ha dato un appuntamento a stretto giro di posta al Governo. È di queste ore, infatti, la notizia secondo cui la Commissione Europea ha vincolato il via libera alla fusione tra la borsa londinese (LSE) e Deutsche Boerse alla vendita di MTS. MTS è la piattaforma per la trattazione all’ingrosso di titoli obbligazionari europei a reddito fisso, titoli di stato italiani ma anche stranieri. La società che gestisce la Borsa di Londra – e che controlla Borsa Italiana dal 2007 – per ora si dice disposta a rinunciare alla maxi-fusione con i tedeschi pur di non mettere in vendita MTS.

 

Cosa ha da dire l’Italia? Il governo al momento tace, ma a novembre dell’anno scorso, Ferdinando Giugliano su Repubblica ricordava che: “Il problema per l'Italia è che i tedeschi sarebbero poco interessati a sviluppare il mercato "cash" che sottende la gran parte di transazione sui Btp, preferendo invece quello "derivato", che è molto più diffuso per i bund”. Sullo sfondo, rimane una indicibile verità. Che, cioè, l’Italia rivendica per sé il diritto di tracciare delle linee rosse invalicabili in quello che rimane del suo patrimonio industriale come pure, così pare, di quello finanziario. L’idea non fa una grinza, dal momento che l’Italia è storicamente un paese banco-centrico e ha il terzo debito pubblico al mondo. Tuttavia non è solo da invasori extracomunitari che dovrebbe guardarsi, bensì anche dal proprio vicinato prossimo. Cosa tutt’altro che facile, sotto il tetto comune della grande casa europea. Lo dimostra proprio il caso di MTS. Per l’Italia, insomma, la questione assume un rilievo forte, a cui si aggiungono complicazioni di tipo diplomatico. Come per esempio il dover ammettere che non ci piace che l’infrastruttura di debito tricolore finisca in mano alla Germania.