Yanis Varoufakis (foto LaPresse)

Per Piketty e i figli di Porto Alegre è arrivato il momento di dire la verità: oui, je suis Donald

Claudio Cerasa

Forse è arrivato il momento per gli intellettuali che gigioneggiano con le teorie no global di fare poco gli schizzinosi

Nella creativa epoca della post verità, dove le bufale vengono offerte agli elettori come le noccioline alle scimmie, c’è un’altra espressione particolare che andrebbe aggiunta al dizionario delle bugie che non è una post verità e non è nemmeno una menzogna ma è più che altro una non verità: un qualcosa di reale, di oggettivo che per ragioni varie viene però trattenuto, nascosto, celato, occultato e dissimulato, nell’illusione che gli elettori non siano mai sazi di ingurgitare gustose noccioline. La più grande non verità di questi mesi riguarda ancora una volta Donald Trump. Questa volta non c’entra nulla il tema delle fake news. C’entra piuttosto una particolare notizia, tenuta nascosta non dai sostenitori di Trump ma da coloro che, pur non volendolo ammettere, rappresentano oggi il volto più evidente del trumpismo: quella sinistra molto golosa di caviale che, dopo aver predicato per una vita le folgoranti virtù delle politiche protezioniste e le incomprese meraviglie del pensiero no global oggi, di fronte al protezionismo trumpiano e alle politiche no global annunciate dal nuovo presidente degli Stati Uniti, si gira dall’altra parte e fischiettando allegramente tenta di fare l’impossibile e non leggere dunque cosa dice il test di paternità del trumpismo.

 

  

Caro Yanis Varoufakis, caro Stefano Fassina, caro Pablo Iglesias, caro Jeremy Corbyn, caro Nichi Vendola, cara Laura Boldrini, caro Carlin Petrini, caro Bernie Sanders, caro Jean-Luc Mélenchon, caro Arnaud Montebourg, caro Thomas Piketty, cari gruppettari della nuova e vecchia sinistra no global, cari nostalgici di Porto Alegre, cari compagni del G8 di Genova, ci spiace per voi, ma quello che oggi fingete di guardare come se fosse un volto estraneo che si delinea lontano dietro un vetro appannato in realtà non è altro che uno specchio che riflette splendidamente alcune idee che voi stessi avete coltivato con passione per anni. Non un nemico, ma un epifenomeno. Non un avversario, ma un alleato naturale. I fatti poi ci diranno se le promesse protezioniste di Trump saranno mantenute o no, ma al momento c’è un filo neppure troppo sottile che lega l’autarchismo economico della sinistra protezionista con la tendenza alla chiusura economica declinata dal presidente americano. E’ la stessa ragione per cui in Italia Susanna Camusso si ritrova a combattere le stesse battaglie di Matteo Salvini.

 

E’ la stessa ragione per cui in Francia l’elettore no global si ritrova più vicino a Le Pen che a Valls o Macron. E’ la stessa ragione per cui in Grecia Tsipras, nel suo primo governo, scelse di allearsi con gli indipendenti dell’ultra destra di Anel. E’ la stessa ragione per cui in Italia i nostri amici Stefano Fassina e Daniela Santanchè tendono a pensarla allo stesso modo sull’Europa e sull’euro. La battaglia per una ritrovata sovranità economica che la sinistra al caviale porta avanti da anni non ha come sbocco un “populismo sano” come immagina The Donald Piketty ma ha un unico sbocco possibile che è il sovranismo completo rappresentato da Trump: se dici che lo scambio delle merci tra paesi è un male da evitare e da limitare, non puoi dire che non valga lo stesso anche per la circolazione delle persone. Se teorizzi un muro in economia, se provi a distruggere il Ttip, se combatti l’internazionalizzazione, se ti opponi alla globalizzazione incentivando la proliferazione della teoria che ciò che è piccolo è anche bello, devi accettare poi che la limitazione della circolazione delle merci coincida magari con una limitazione della circolazione anche di tutto il resto.

 

Con estrema sincerità, il compagno presidente del Venezuela Maduro ha difeso Trump denunciando la campagna di odio contro di lui e dicendosi certo che il nuovo presidente farà meglio del suo predecessore. Forse è arrivato il momento che i Varoufakis, i Fassina, gli Iglesias, i Corbyn, i Vendola, le Boldrini, i Petrini, i Sanders, i Mélenchon, i Piketty, e tutti gli intellettuali italiani che per anni hanno gigioneggiato con le teorie no global, facciano poco gli schizzinosi. Forse è arrivato il momento che i compagni no global si guardino allo specchio e dicano la verità: oui, je suis Donald.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.