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L'Europa scontenta si prepara alla Brexit. Ecco la road map

David Carretta

Ufficialmente l’Ue vuole arrivare a un accordo equo di divorzio per entrambe le parti, destinato a limitare i danni della Brexit. Le trattative però non sono ancora cominciate

Strasburgo. Theresa May e i leader dell’Unione europea rischiano “uno scontro frontale”, dopo che il premier britannico martedì ha delineato la sua strategia per una “hard Brexit” minacciando di trasformare il Regno Unito in un paradiso fiscale se non otterrà un accordo “ragionevole” sull’uscita del suo paese e le future relazioni con il continente. Da Angela Merkel a Jean-Claude Juncker, quasi tutti hanno salutato il discorso di May perché fa “chiarezza” sulle intenzioni di Londra, quando a marzo sarà attivato l’articolo 50 del Trattato di Lisbona che fa scattare il conto alla rovescia di due anni per il divorzio. Ma il pericolo con la tattica negoziale scelta da May è di un “car crash”, spiega al Foglio Charles Tannock, deputato europeo conservatore che era con il “remain” per il referendum e oggi difende la “soft Brexit”. “Sarà molto difficile nello spazio di tempo limitato che abbiamo, con le elezioni in Francia e Germania, avere un divorzio pulito ed equilibrato”, dice Tannock, sottolineando che la minaccia di trasformare il Regno Unito in un paradiso fiscale non funzionerà con la “hard Brexit”. “Se non c’è accesso al mercato unico, le multinazionali non avranno un grande incentivo ad avere fabbriche di produzione nel Regno Unito perché non possono esportare in Europa”. Secondo Guy Verhosftadt, negoziatore dell’Europarlamento per la Brexit, “quella di May è una tattica negoziale controproducente”. Al di là delle dichiarazioni ufficiali, in alcune capitali ci si prepara a un duro conflitto: il governo di Angela Merkel a Berlino ha creato appositi dipartimenti Brexit nei ministeri. Sulla sostanza, il discorso di mercoledì di May è sempre il solito “cherry picking”, dice il capogruppo del Ppe a Strasburgo, il tedesco Manfred Weber. Tra calendario elettorale e atmosfera politica surriscaldata – ieri Boris Johnson ha paragonato l’atteggiamento punitivo di François Hollande a chi “come in alcuni film sulla Seconda guerra mondiale pesta chiunque voglia fuggire”, scatenando un caos diplomatico, un altro – tutto contribuisce a uno scenario di conflitto.

 

Ufficialmente l’Ue vuole arrivare a un “fair deal”, come l’ha definito il presidente della commissione Juncker: un accordo equo di divorzio per entrambe le parti, destinato a limitare i danni della Brexit. Le trattative non sono ancora cominciate, con Juncker e il suo capo-negoziatore, Michel Barnier, che si nascondono dietro la formula “nessun negoziato senza la notifica” dell’articolo 50. La richiesta formale di divorzio dovrebbe essere presentata da May a inizio marzo, appena prima del vertice di Roma per celebrare i 60 anni dalla firma del trattato fondatore dell’Ue. Quattro o cinque settimane dopo, i capi di stato e di governo dell’Ue a 27 si riuniranno in un summit informale per discutere le linee guida dei negoziati con Londra. Barnier agirà sotto il controllo dei ministri degli Affari europei dei 27, a loro volta sottoposti alla tutela dei capi di Stato e di governo. La lista delle questioni da discutere per la sola separazione appare infinita: gli obblighi finanziari britannici verso l’Ue (alcuni hanno avanzato la cifra di 60 miliardi di euro), la gestione delle frontiere del Regno Unito con Irlanda e Spagna, i diritti dei cittadini e delle imprese che hanno beneficiato della libertà di circolazione europea (in entrambe le direzioni), gli impegni legali assunti da Londra attraverso l’Ue (come gli obiettivi sul cambiamento climatico). Poi ci sono gli accordi di transizione, che dovrebbero regolare i rapporti tra gli ex coniughi per alcuni anni, in attesa dell’entrata in vigore di una nuova partnership. Per il lungo periodo, May ha escluso tutte le forme di relazione attualmente disponibile (dall’European Free Trade Agreement all’unione doganale), indicando una preferenza per un “Free Trade Agreement”. Ma come dimostrano il Ttip con gli Stati Uniti e il Ceta con il Canada, negoziare e ratificare un accordo di libero scambio sarà “il compito più difficile”, ha avvertito ieri il premier maltese, Joseph Muscat, che ha la presidenza di turno dell’Ue.

I negoziati tra Barnier e il governo britannico dovrebbero iniziare soltanto tra maggio e giugno, quando i 27 trasmetteranno le loro richieste a Londra. Secondo alcuni osservatori, sarà un momento potenzialmente esplosivo: May potrebbe decidere di abbandonare il tavolo, se le condizioni poste dai partner europei saranno troppo dure. Barnier ha spiegato che è necessario arrivare a un accordo completo entro ottobre 2018 “per lasciare tempo al Pe, ai governi dei 27 e al Regno Unito di ratificarlo”. La scadenza finale – che può essere prolungata ma solo all’unanimità – è marzo 2019: oltre quella data sarà “car crash”. Il Regno Unito fuori dall’Ue nel marzo 2019 senza alcun accordo, fuori dal mercato interno e dall’unione doganale, mentre l’Ue perderebbe la cooperazione vitale britannica in settori chiave come la difesa e il terrorismo. “L’economia crolla, la disoccupazione aumenta, l’inflazione ritorna, la sterlina scende”, spiega Tannock: “Sarebbe un disastro per l’Europa, il Regno Unito e la City di Londra”. E “il mandato per una hard Brexit non c’è”, il “leave” ha vinto di misura. Ma nella cultura politica britannica – ricorda Tannock – “prevale il chi vince prende tutto”, spingendo May a un atteggiamento più “arrogante” e a rifiutare “i compromessi” che sarebbero necessari per evitare il “car crash”.

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