Foto LaPresse

Perché il 2016 è stato un grande flop per il partito del bail-in

Alberto Brambilla

Lo scopo del bail-in è quello di evitare il fallimento di un istituto e di predisporne il risanamento creando una “nuova” banca appetibile da mettere in vendita. In teoria. La pratica è però diversa.

Roma. Il bail-in è entrato in vigore da un anno in Europa, ma in Italia e in Portogallo era stato già sperimentato, pur parzialmente, proprio a ridosso della fine del 2015 su alcune banche di media stazza. A posteriori il risultato è stato deludente, probabilmente per via del fatto che una normativa condivisibile nelle finalità – il bail-in chiude con i salvataggi a carico dei contribuenti e fa pagare il risanamento di una banca agli azionisti e alcuni creditori, ai privati – è stata applicata in modo non ottimale nelle tempistiche. Lo scopo del bail-in, un nuovo regime di cui si discute nei circoli bancari almeno dal 2010, tradotto in direttiva europea, a sua volta recepita dagli ordinamenti nazionali, è – com’è noto – quello di evitare il fallimento di un istituto e di predisporne il risanamento creando una “nuova” banca ricapitalizzata e libera da pendenze da mettere in vendita. In teoria la “nuova” banca dovrebbe essere appetibile. In teoria. Nella pratica, l’esperienza dice che le cose sono andate molto diversamente.

Per capire conviene partire dal Portogallo, non dall’Italia. La “nuova” banca di Banco Espírito Santo (Bes),  la prima banca portoghese, che faceva capo a una dell’omonima e nobile famiglia lusitana, fu travolta da uno scandalo relativo alle holding lussemburghesi dei proprietari, e andò in risoluzione nel 2014 con la creazione della “nuova” banca, chiamata appunto Novo Banco. Non avendo però raggiunto risultati dignitosi né recuperato dal dissesto, il 30 dicembre 2015 sono state imposte perdite anche agli obbligazionisti ordinari del Novo Banco – che in precedenza erano stati risparmiati – con una decisione a sorpresa da parte della Banca centrale del Portogallo. E’ stato un evento choc. L’indice Euro Stoxx Banks, che incorpora l’andamento dei principali titoli finanziari europei, è tracollato, mentre Brexit, i dolori di Deutsche Bank e delle banche italiane hanno poi contribuito a scoraggiarne un recupero sui livelli precedenti la decisione di azzerare i creditori senior di Novo Banco, tra cui i fondi americani Pimco e BlackRock. Ancora oggi Novo Banco fatica a trovare un acquirente e la Vigilanza della Banca centrale europea ha dato un limite entro il quale si dovrà trovarne uno – ovvero luglio 2017 –, altrimenti l’istituto chiuderà i battenti. La speranza per la banca portoghese è che il “sentimento” del mercato migliori. Ciò può dipendere dal successo dell’annunciato accordo tra il Banco Comercial Português e il fondo cinese industriale Fosun (che è anche investitore della banca privata tedesca H&A) perché questo, in teoria, potrebbe facilitare l’avvicinamento a Novo Banco di Minsheng Financial Holding, grande società d’investimento privata cinese. Si vedrà.

 

Intanto in Italia la situazione non è magnifica. Delle quattro “nuove” banche nate a fine novembre 2015 dalla risoluzione di Etruria, CassaMarche, CariChieti e CariFerrara, solo le prime tre sono in procinto di trovare un acquirente nella lombarda Ubi Banca che si è proposta per rilevarle a un prezzo simbolico, dopo che un fondo alimentato con contribuzioni di tutte le banche italiane aveva concorso a ricapitalizzarle. Tale possibile esito è stato riferito dalla stampa nei giorni scorsi e i consigli di Ubi ne stanno discutendo. Ma il risultato non è scontato. Se il prezzo sarà eccessivamente basso, la Vigilanza della Bce potrà chiedere un nuovo giro di consultazioni con altri potenziali compratori manifestatisi in precedenza (i fondi Apollo, Apax, Cerberus, diceva il Messaggero). Il processo fin qui non è stato facile: le condizioni di mercato sono molto peggiorate – i paletti posti dalla Vigilanza, tra richieste patrimoniali e scadenze stringenti, hanno fatto il resto. Tuttavia, prima della risoluzione, nel caso di Etruria si parlò di una potenziale integrazione con la Popolare di Vicenza, poi deragliata, e di abboccamenti con Bper. Era dunque necessario arrivare a una vendita a basso costo, dopo una penosa risoluzione, per ottenere un risultato tutto sommato simile?

Di più su questi argomenti:
  • Alberto Brambilla
  • Nato a Milano il 27 settembre 1985, ha iniziato a scrivere vent'anni dopo durante gli studi di Scienze politiche. Smettere è impensabile. Una parentesi di libri, arte e politica locale con i primi post online. Poi, la passione per l'economia e gli intrecci - non sempre scontati - con la società, al limite della "freak economy". Prima di diventare praticante al Foglio nell'autunno 2012, dopo una collaborazione durata due anni, ha lavorato con Class Cnbc, Il Riformista, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e il settimanale d'inchiesta L'Espresso. Ha vinto il premio giornalistico State Street Institutional Press Awards 2013 come giornalista dell'anno nella categoria "giovani talenti" con un'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena.