Department for Business, Innovation and Skills (foto via Flickr)

Quel buon Patto per la Fabbrica che potrebbe sgonfiarsi per il No sciagurato

Stefano Cianciotta

Le dimissioni di Matteo Renzi potrebbero avere un impatto negativo anche sulla nuova stagione di riforme delle relazioni industriali, e sarebbe un peccato

"È un primo e importantissimo passo verso un vero e proprio rinnovamento culturale e lo abbiamo fatto insieme al sindacato”. Il commento a caldo del presidente di Federmeccanica, Fabio Storchi, sull’ipotesi di rinnovo contrattuale sottoscritto alcune settimana fa da Confindustria e dai sindacati, sembrava essere la prima conferma di quanto il Patto per la Fabbrica, promosso dal numero uno di Confindustria Vincenzo Boccia, avrebbe potuto fare bene al rilancio e alla innovazione della filiera industriale italiana.

 

 

Le parole di Boccia, pronunciate ad ottobre dal palco del convegno dei Giovani imprenditori di Capri, erano destinate ad aprire una nuova stagione culturale nelle relazioni tra imprenditori, sindacati e governo. Ma senza il conforto e il sostegno di un esempio positivo, quelle affermazioni sarebbero rimaste solo buone intenzioni, che al massimo avrebbero potuto registrare l’ennesima (e forse l’ultima) occasione persa.

Nuove relazioni industriali e nuovi contratti legati alla produttività e alla competitività, infatti, rappresentano il fulcro del Patto della Fabbrica propugnato da Boccia, la cui azione da leader degli industriali italiani vuole ridare un forte valore culturale e sociale all’industria e alla sua attività, che non è solo profitto e business, in quanto deve tornare a incidere positivamente anche sul rapporto tra organizzazione e dipendente.

Al di là del dettato economico non trascurabile (l’aumento di 92 euro mensili in busta paga è significativo), l’elemento più importante della recente intesa risiedeva proprio nella definizione di una nuova cornice culturale nel quale bisogna collocare e leggere l’accordo (si veda ad esempio la formazione e la valorizzazione delle risorse umane).

Le dimissioni di Matteo Renzi potrebbero avere un impatto negativo anche sulla nuova stagione di riforme delle relazioni industriali, e sarebbe un peccato perché proprio in questo momento c’è bisogno di una sintonia forte e consapevole di tutte le parti sociali per disegnare il modello dell’Industria 4.0, sul quale si gioca la competitività dell’industria e della ricerca made in Italy.

Il rilancio della fabbrica, sull’onda del recupero della centralità dell’economia reale dopo gli anni delle speculazioni finanziarie facili può e deve costituire una fase di cambiamento culturale, preludio di una nuova stagione di sviluppo e di riposizionamento del concetto stesso di azienda, che deve tornare a diventare il luogo dello sviluppo, del dialogo, della intrapresa civile, della creatività e della sperimentazione.

La nuova alleanza, invocata da Boccia e messa nero su bianco alcune settimane fa all’interno di un settore caratterizzato da sempre da un’elevata conflittualità tra le parti, non solo serve a sottolineare la competitività dell’industria meccanica italiana, ma aiuta la fabbrica a tornare protagonista e a riacquistare valore.

Nell’accordo, infatti, si evidenzia l’apporto della formazione in ottica di sviluppo della industria 4.0, un tema sul quale il governo bene ha fatto a investire destinando in bilancio 13 miliardi in sette anni, risorse che le imprese possono utilizzare attraverso la leva fiscale e non quella consueta dei contributi.

L’intesa trasferisce idealmente la fabbrica nella nuova dimensione, quella nella quale tecnologia, creatività e capitale umano si fondono nelle competenze diffuse sul territorio, che sanno legare produzione e servizi, innovazione di processo e qualità dei prodotti.

La fabbrica insomma ritrova la sua accezione positiva per farsi trasparente, accogliente, sicura e sostenibile, e si candida a sostenere il cambiamento culturale che con l’Industria 4.0 segnerà i prossimi anni anche in Italia.

Da queste premesse nasce l’accordo tra Federmeccanica e i sindacati, intesa unitaria che non veniva più sottoscritta dal 2008. In quei mesi teneva banco il fallimento della Lehman Brothers. La volontà degli attori di assecondare e dare forma al cambiamento promosso da Industria 4.0 ha trasformato l’incubo di questi nove anni in un nuovo inizio. A meno la crisi di governo non riattivi vecchie tensioni e l’innata vocazione del paese a bloccare tutto. Anche le buone intenzioni.